Il geniale artista dei travestimenti in Sillabari interpreta le aspirazioni piccolo borghesi dei personaggi parisiani di Igor Vazzaz

Maestro del répechage poetico e teppista, eccolo estrarre dal suo immenso baule i racconti di Goffredo Parise, due Sillabari (il primo del 1972, l’altro di dieci anni più tardo, premiato con lo Strega), interrotti alla lettera S per “mancanza di poesia”. Dizionari emotivi, sentimentali ma non sentimentalistici: ognuno di questi brevi racconti dal sapore enigmatico, aperti nella sospensione minimalista, dà origine a quadri scenici, per lo più monologhi, in cui l’attore fiorentino scava con la consueta ironia maliziosa, giocando abilmente sulla parola da porgere, il gesto da esibire e, soprattutto, il non detto da insinuare.
Notevole l’equilibrio drammatico di questo spettacolo singolare nella biografia del nostro: a dominare, per una volta, non è la sua ipertrofica vena da front man, il suo incontenibile e variopinto fregolismo innervato di camp, bensì il testo, che costringe la scrittura scenica a una sedimentazione verbale, cui gesti, scenografie pittoriche (di Lele Luzzati, splendide, ispirate a illustrazioni di primo Novecento), costumi magnifici e sontuosi (Santuzza Calì) fanno da perfetto contorno, senza mai esondare.

Ovvio che a trionfare sia ciò che non si dice, gli interstizi di senso che Parise apre in queste vicende minuscole, e che la maestria della recitazione risieda nell’inconsueta misura che l’animale da palco riesce a mantenere con felice costanza. Il prezzo è, forse, quello di una non completa scorrevolezza, poiché l’andamento della messinscena è volutamente paratattico, talvolta sofferente d’un reiterato meccanismo a innesco e arresto ripetuti.
Ottimo oliante dell’ingranaggio è l’apparato coreografico, curato dall’eccellente Alfonso De Filippis, sempre più “secondo”, spalla e aiuto per il maestro oltre la soglia degli ottanta (incredibile ma vero): le ridicolose orchestrazioni midi approntate dalla fedele Jacqueline Perrotin sono le basi per un pot-pourri di canzonette, ora svagate, ora sentimentali, ad abbracciare cinquant’anni di musica, non solo italiana. Esemplare il lavoro di decostruzione semantica operata dall’unione-scontro tra i testi, le musiche (formidabili i suoni, volutamente plastificati e irridenti) e le ambientazioni: una languida e malinconica Arrivederci finisce per risultar malefica nell’addio che un occhialuto borghese in giacca arancione (Poli lui-même) rivolge al prestante operaio in tuta blu munito di bicicletta.
Le parti musicali sono anche occasione di ammiccanti balletti in cui il protagonista assoluto si vede quadruplicato nelle figure di altrettanti giovani e bravi attori, tra cui il già citato De Filippis. In questo senso, la novità è rappresentata dallo spazio crescente appaltato alla destrezza di Luca Altavilla, Alberto Gamberini e Giovanni Siniscalco, alla bisogna perfetti cloni poliani, ma ciascuno dotato di piglio e ritmo personalissimo.
I cinque interpreti si palleggiano e dividono numeri e monologhi, così come la girandola di repentini cambi costume, motivo di costante sbigottimento da parte d’un pubblico sin da subito disposto a divertirsi e sorridere. Ed è bellissima la lingua teatrale parlata, proposta, carezzata da questo grande guitto e vedette della nostra scena: un italiano musicale, mai affettato, dotato d’eleganza inimmaginabile dopo decenni di sublingua televisiva.

(13 Gennaio 2010)
Spettacolo
Sillabari, due tempi di Paolo Poli, da Goffredo Parise
Giudizio:
Scheda
Prossimamente: Roma, S. Umberto, fino al 24 gennaio; Lamezia Terme, 27-28 gennaio; San Casciano Val di Pesa (Fi), 31 gennaio; Faenza (Ra), 1-3 febbraio; Ferrara, 4-7 febbraio; Copparo (Fe), 10 febbraio; Trento, S. Chiara, 11-14 febbraio; Schio (Vi), 16 febbraio; Trieste, Bobbio, 19-28 febbraio; Colle Val d’Elsa (Si), 9-10 marzo
Goffredo Parise: scrittore e giornalista veneto, maestro nel descrivere la provincia italiana nelle sue sfaccettature più intime; i due Sillabari sono adesso pubblicati dall’editore Adelphi che ha curato pure l’uscita del bellissimo Lontano (2009)
Artisti citati dai fondali di Luzzati: De Chirico, Sant’Elia, Morandi, De Pisis, Savinio, Dalì, Hopper, Mondrian, Ricasso
Pensiero/1: la modernità non ha niente a che fare con la mera cronologia
Pensiero/2: il sogno sarebbe usare Poli per spazzar via tanta volgarità teatrale verniciata di (pseudo)ideologico, sociale, impegnato e disimpegnato, ma lui non si presterebbe mai. E avrebbe, ancora una volta, ragione
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