La compagnia di Ugo Chiti mette in scena La Mandragola, commedia nera del nostro Cinquecento. Umorismo ruvido e musiche ataviche per una storia di corna e intrighi in cui la parola è protagonista
La vicenda è nota, o almeno dovrebbe esserlo: sapido intreccio d’appetiti sensuali, corna e coglionamenti, al termine del quale nessun valore si salva alla chirurgia drammatica machiavelliana: Callimaco (che l’autore presenta quale amante meschino) riesce a giacere con la bella e coscienziosa Lucrezia, sposa di Nicia, vecchio bacucco con velleità di riproduzione tardiva. Il tutto grazie alla connivenza pelosa del servo Siro, dell’amico Ligurio, di un frate corrotto, Timoteo, e della madre della fanciulla, Sostrata, inconsapevole dell’inganno, benché decisiva nella sua messa in atto. La conclusione non dà scampo a nessuno: Lucrezia scopre l’intrigo e decide di prendere il giovane lascivo come amante segreto, punendo così l’idiozia del marito e perpetrando quindi una vita di foia e inganno. Ma è nel farsi carne e sangue d’attore che il verbo di ser Nicolò acquisisce la meritata profondità d’una lingua terrosa, d’organica concretezza, in cui gli inediti innesti firmati da Chiti trovano agio e spessore: la recitazione d’Arca Azzurra, così aderente all’idioma, in emorragico contatto col personaggio eppure in grado di creare interstizi tra attore e carattere, brilla nella sua mai sufficiente lodata differenza rispetto alla media nazionale di un’asettica ed esangue standardizzazione linguistica.
Ride il pubblico del bel Teatro Dante di Campi Bisenzio, forte d’una complicità linguistica evidente, ma non indispensabile: ride e, se proprio si vuol muovere un minimo rilievo a uno spettacolo che corre lungo il limite dell’inappuntabilità, potrebbe ridere di più, ché materia da sghignazzo feroce e mai consolatorio ve n’è a sfare. Chiti, non rinunciando a un umorismo cupo e disincantato, a tratti verde, tannico, preferisce far di questo reticolo di pulsioni, meschinerie e imbrogli, un impietoso groppo rappreso, triste eiaculatio senza godimento: dopo tutto, ha ragione Nicia, quando, giusto in tema, si chiede a che pro valga tutta quest’uggia, questo affannarsi miserabile, risolto in quello che, alla fin fine, è solo un vano "sputo di piacere".
10 Febbraio 2011
Oggetto recensito:
Mandragola, di Nicolò Machiavelli, regia di Ugo Chiti
Mandragola, di Nicolò Machiavelli, regia di Ugo Chiti
La locandina: Ugo Chiti, ideazione dello spazio, adattamento e regia; Giuliana Colzi, costumi; Marco Messeri, luci; Vanni Cassori e Jonathan Chiti, musiche; e con Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Lorenzo Carmagnini, Giulia Rupi, Paolo Ciotti; produzione Arca Azzurra Teatro
Prossimamente in scena: 12/2, San Gavino (Vs); 13/2, Lanusei (Og); 17/2, Campiglia Marittima (Li); 26/2, Scansano (Gr); 6/3, Città della Pieve (Pg); 18/3, Porto Ferraio (Li)
La mandragola: solanacea dai fiori violetti o bianchi, le cui radici, invero tossiche, sono state per secoli considerate medicamentose; nell’imbroglio, è alla base della pozione che renderebbe fertile Lucrezia, comportando però la morte del primo che giacesse con la fanciulla
Prossimamente in scena: 12/2, San Gavino (Vs); 13/2, Lanusei (Og); 17/2, Campiglia Marittima (Li); 26/2, Scansano (Gr); 6/3, Città della Pieve (Pg); 18/3, Porto Ferraio (Li)
La mandragola: solanacea dai fiori violetti o bianchi, le cui radici, invero tossiche, sono state per secoli considerate medicamentose; nell’imbroglio, è alla base della pozione che renderebbe fertile Lucrezia, comportando però la morte del primo che giacesse con la fanciulla
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