(da Giudizio Universale)
Ha il fascino da scatola magica pirandelliana, il rigore drammaturgico di un classico qual è, ormai, Testori, e una lingua, parlata, bisbigliata, tornita, tutta da (ri)scoprire, di una modernità sorprendente. Ci riferiamo a I Promessi Sposi alla prova, l’ultimo spettacolo diretto da Federico Tiezzi, che s'avvale, come di consueto, del grande interprete e amico, Sandro Lombardi. I due ex “criminali” riannodano numerosi fili della comune poetica che, negli anni, ha visto proprio in Testori un autore frequentato con passionale assiduità e che, in quest'occasione, offre il destro per un doppio confronto con due titani della nostra tradizione quali Pirandello e Manzoni.
Il sipario si apre e appare subito un'ulteriore scena teatrale, più sgarrupata, modesta del Metastasio di Prato che ci ospita. In una costruzione dai contorni essenziali, geometrici, dalle tetre tonalità grigioblu, si staglia, in posizione centrale e rialzata, un sipario rosso, malconcio, con una scritta circense d’un triste giallo scolorito. Ai lati, riflettori a vista. Oltre il drappo, una tavola grande e, sulla parete, due segnalazioni d’ordinaria funzionalità: “Vietato fumare”, prescrizione puntualmente disattesa dai personaggi che vedremo in scena, e “Uscita d’emergenza”.
Mettere “alla prova” il più importante romanzo del nostro Ottocento è impresa quanto mai complessa, ricca di declinazioni e sottigliezze: significa sperimentare il testo manzoniano come traduzione drammaturgica, ma anche, al contempo, sondarne la forza rappresentativa nella sua (doppia) attuazione scenica (quella “reale” dello spettacolo offerta a noi pubblico, e quella delle prove contenute nel racconto teatrale) e, infine, nelle obbligate letture implicate da simili operazioni.
La prova è, di fatto, quella inscenata dagli attori/personaggi, in un gioco di matrioske finzionali che rimanda direttamente ai Sei personaggi pirandelliani. Sandro Lombardi è il Maestro (non regista, anche in questo particolare Testori s’accorda col Nobel girgentino) e si trova a dirigere una scalcagnata compagnia di giro nella messinscena dei Promessi sposi: la situazione rappresenta l’ideale presupposto per un’approfondita messa a nudo del lavoro e del gioco teatrale, praticaccia fatta di prove, attori svogliati, primedonne nervose, elementi che il capocomico deve riuscire ad armonizzare. Tutto, senza lesinar suggestioni, considerazioni e spunti a proposito degli snodi e dei temi toccati dal romanzo e da questa versione drammatica.
È un gioco di specchi vertiginoso quello condotto dal paziente-direttore, composto di riflessioni e rifrazioni che schiudono feritoie, rivoli di senso, innervando di nuova linfa la partitura originale: il Seicento lombardo deflagra nel Novecento, perché i dialoghi tra gli attori diventano confronti inediti, aporie romanzesche, in un continuo slittamento di piani narrativi. È una costante mise en abîme di vicende e caratteri, a saggiarne la tenuta, la praticabilità in un’estenuante dialettica tra fuori e dentro, tra finzione di primo e secondo grado, a ricordare certi bizantinismi delle narrazioni di Borges.
Ma siamo in Italia, in Lombardia, terra amata e odiata da Testori, genio difficile, pieno di fertili contraddizioni: e, per paradosso, dopo le riscritture classiche (Ambleto, Macbetto. Edipus) in cui prevaleva un linguaggio materico, dialettale e sporco, in questi Promessi Sposi alla prova è proprio la lingua manzoniana a trionfare per modernità. Non i personaggi, a fronte d’una buona prova specie dei giovani attori (Francesco Colella, Debora Zuin, la brava Caterina Simonelli) affiancati da interpreti più navigati (l’attrice che fa Gertrude di Iaia Forte, che pure denota qualche pausa di troppo, Massimo Verdastro, nei panni del buffo interprete di Don Rodrigo, Marion D’Amburgo e Alessandro Schiavo). È il dettato manzoniano, troppo spesso relegato a repertorio scolastico malsopportato e inerte, a segnalare la propria forza, un’indomita vitalità, sbucando nella congerie di lingue, registri e piani rappresentativi.
Si arriva a ridere, in certi sintagmi sospesi tra amara parodia e improbabile pastiche, quasi che questo testo, piuttosto recente (datato 1984), anticipi nei fatti ben altre riscritture del romanzo: se non fosse che Testori sceglie lucidamente d’esser antimoderno, amante ostinato della parola e di un teatro il cui destino, egli ne era forse conscio, è quello di soccombere sotto gli spietati colpi dei mass-media contemporanei. Proporre oggi questo dramma è una sfida ardua, se non tentativo disperato: alla prova di speranza, proposta con utopia dall’autore lombardo, s’affianca, da parte di Lombardi e Tiezzi, una forma, encomiabile e coraggiosa, di resistenza.
Ha il fascino da scatola magica pirandelliana, il rigore drammaturgico di un classico qual è, ormai, Testori, e una lingua, parlata, bisbigliata, tornita, tutta da (ri)scoprire, di una modernità sorprendente. Ci riferiamo a I Promessi Sposi alla prova, l’ultimo spettacolo diretto da Federico Tiezzi, che s'avvale, come di consueto, del grande interprete e amico, Sandro Lombardi. I due ex “criminali” riannodano numerosi fili della comune poetica che, negli anni, ha visto proprio in Testori un autore frequentato con passionale assiduità e che, in quest'occasione, offre il destro per un doppio confronto con due titani della nostra tradizione quali Pirandello e Manzoni.
Il sipario si apre e appare subito un'ulteriore scena teatrale, più sgarrupata, modesta del Metastasio di Prato che ci ospita. In una costruzione dai contorni essenziali, geometrici, dalle tetre tonalità grigioblu, si staglia, in posizione centrale e rialzata, un sipario rosso, malconcio, con una scritta circense d’un triste giallo scolorito. Ai lati, riflettori a vista. Oltre il drappo, una tavola grande e, sulla parete, due segnalazioni d’ordinaria funzionalità: “Vietato fumare”, prescrizione puntualmente disattesa dai personaggi che vedremo in scena, e “Uscita d’emergenza”.
Mettere “alla prova” il più importante romanzo del nostro Ottocento è impresa quanto mai complessa, ricca di declinazioni e sottigliezze: significa sperimentare il testo manzoniano come traduzione drammaturgica, ma anche, al contempo, sondarne la forza rappresentativa nella sua (doppia) attuazione scenica (quella “reale” dello spettacolo offerta a noi pubblico, e quella delle prove contenute nel racconto teatrale) e, infine, nelle obbligate letture implicate da simili operazioni.
La prova è, di fatto, quella inscenata dagli attori/personaggi, in un gioco di matrioske finzionali che rimanda direttamente ai Sei personaggi pirandelliani. Sandro Lombardi è il Maestro (non regista, anche in questo particolare Testori s’accorda col Nobel girgentino) e si trova a dirigere una scalcagnata compagnia di giro nella messinscena dei Promessi sposi: la situazione rappresenta l’ideale presupposto per un’approfondita messa a nudo del lavoro e del gioco teatrale, praticaccia fatta di prove, attori svogliati, primedonne nervose, elementi che il capocomico deve riuscire ad armonizzare. Tutto, senza lesinar suggestioni, considerazioni e spunti a proposito degli snodi e dei temi toccati dal romanzo e da questa versione drammatica.
È un gioco di specchi vertiginoso quello condotto dal paziente-direttore, composto di riflessioni e rifrazioni che schiudono feritoie, rivoli di senso, innervando di nuova linfa la partitura originale: il Seicento lombardo deflagra nel Novecento, perché i dialoghi tra gli attori diventano confronti inediti, aporie romanzesche, in un continuo slittamento di piani narrativi. È una costante mise en abîme di vicende e caratteri, a saggiarne la tenuta, la praticabilità in un’estenuante dialettica tra fuori e dentro, tra finzione di primo e secondo grado, a ricordare certi bizantinismi delle narrazioni di Borges.
Ma siamo in Italia, in Lombardia, terra amata e odiata da Testori, genio difficile, pieno di fertili contraddizioni: e, per paradosso, dopo le riscritture classiche (Ambleto, Macbetto. Edipus) in cui prevaleva un linguaggio materico, dialettale e sporco, in questi Promessi Sposi alla prova è proprio la lingua manzoniana a trionfare per modernità. Non i personaggi, a fronte d’una buona prova specie dei giovani attori (Francesco Colella, Debora Zuin, la brava Caterina Simonelli) affiancati da interpreti più navigati (l’attrice che fa Gertrude di Iaia Forte, che pure denota qualche pausa di troppo, Massimo Verdastro, nei panni del buffo interprete di Don Rodrigo, Marion D’Amburgo e Alessandro Schiavo). È il dettato manzoniano, troppo spesso relegato a repertorio scolastico malsopportato e inerte, a segnalare la propria forza, un’indomita vitalità, sbucando nella congerie di lingue, registri e piani rappresentativi.
Si arriva a ridere, in certi sintagmi sospesi tra amara parodia e improbabile pastiche, quasi che questo testo, piuttosto recente (datato 1984), anticipi nei fatti ben altre riscritture del romanzo: se non fosse che Testori sceglie lucidamente d’esser antimoderno, amante ostinato della parola e di un teatro il cui destino, egli ne era forse conscio, è quello di soccombere sotto gli spietati colpi dei mass-media contemporanei. Proporre oggi questo dramma è una sfida ardua, se non tentativo disperato: alla prova di speranza, proposta con utopia dall’autore lombardo, s’affianca, da parte di Lombardi e Tiezzi, una forma, encomiabile e coraggiosa, di resistenza.
Igor Vazzaz
(07 dicembre 2010)
Oggetto recensito:
I PROMESSI SPOSI ALLA PROVA, DI GIOVANNI TESTORI, REGIA DI FEDERICO TIEZZI, DRAMMATURGIA DI SANDRO LOMBARDI E FEDERICO TIEZZI
I PROMESSI SPOSI ALLA PROVA, DI GIOVANNI TESTORI, REGIA DI FEDERICO TIEZZI, DRAMMATURGIA DI SANDRO LOMBARDI E FEDERICO TIEZZI
Prossimamente in scena: Torino, Carignano, 7-19/12; Napoli, Mercadante, 12-23/1/11; Cortona (Ar), 25/1/11; Ravenna, Alighieri, 27-30/1/11; Genova, Corte, 2-6/2/11; Bologna, Arena del Sole, 10-13/2/11; Modena, Storchi, 16-20/2/11; Roma, India, 22/2-6/3/11; Piombino (Li), Metropolitan, 7/3/11; 09/03/2011 Grosseto (Gr), Teatro degli Industri; 10/03/2011 Barga (Lu); 11-13/03/2011, Massa (Ms), Teatro Guglielmi
Produzione: Metastasio Teatro Stabile della Toscana, Teatro Stabile di Torino, Compagnia Sandro Lombardi
Il resto della locandina: Pier Paolo Bisleri, scene; Giovanna Buzzi, costumi; Gianni Pollini, luci; Giovanni Scandella, assistente regista; Francesca della Monica, maestro di canto
Citazione (quasi) iniziale: "So bene che vi siete venduti tutti a quelle fandonie televisive che hanno finito per togliervi ogni senso di che sia il mestiere dell’essere, qui, attore" (il Maestro)
Citazione finale: "A voi, superata questa prova, cosa può dirvi, congedandosi, il vostro maestro? Che, se nella vita o qui, sulla scena, incontrerete, com’è giusto, difficoltà, dolori, ansie e problemi, battete alla sua porta. A quella di lei. La speranza" (il Maestro)
A proposito del recente "fango" di Saviano: "che io, non tu, e men che meno lei, nella nostra storia, io sono il personaggio veramente nuovo, illuminato, anticonformista, rivoluzionario. Quello che farà precipitare a terra i tabù; li scioglierà, come fa il sole con la neve, in marciume, broda, fango, fanghiglia, sotto la sua, cioè mia, scarpa”. Parola di Don Rodrigo
Produzione: Metastasio Teatro Stabile della Toscana, Teatro Stabile di Torino, Compagnia Sandro Lombardi
Il resto della locandina: Pier Paolo Bisleri, scene; Giovanna Buzzi, costumi; Gianni Pollini, luci; Giovanni Scandella, assistente regista; Francesca della Monica, maestro di canto
Citazione (quasi) iniziale: "So bene che vi siete venduti tutti a quelle fandonie televisive che hanno finito per togliervi ogni senso di che sia il mestiere dell’essere, qui, attore" (il Maestro)
Citazione finale: "A voi, superata questa prova, cosa può dirvi, congedandosi, il vostro maestro? Che, se nella vita o qui, sulla scena, incontrerete, com’è giusto, difficoltà, dolori, ansie e problemi, battete alla sua porta. A quella di lei. La speranza" (il Maestro)
A proposito del recente "fango" di Saviano: "che io, non tu, e men che meno lei, nella nostra storia, io sono il personaggio veramente nuovo, illuminato, anticonformista, rivoluzionario. Quello che farà precipitare a terra i tabù; li scioglierà, come fa il sole con la neve, in marciume, broda, fango, fanghiglia, sotto la sua, cioè mia, scarpa”. Parola di Don Rodrigo
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