(da teatro.org)
X o, come specificato nel titolo, Ics, come Generazione X, o ultima lettera dell’alfabeto latino, simbolo neutro a significare indeterminatezza e, persino, morte.
X come resa, limite d’ardua indagine, occhio aperto su una realtà di suburbia e smarrimento, necessità di racconto infranta sul nulla del racconto, il niente da raccontare, l’impossibilità di raccontare alcunché. La giovinezza che Motus pone al centro della sua ennesima allucinazione teatrale (si tratta del movimento terzo d'una produzione internazionale che vede la partecipazione, tra gli altri, di Biennale Danza di Venezia, Lux-Scène National de Valence, Francia, e Theater der Welt 2008 di Halle, Germania) è quella ingoiata, mai rappresentata da una Società dello Spettacolo alimentata ipertroficamente di lustrini e sé stessa, quella giovinezza che fu attrazione e utopia pasoliniana, rappresa e coagulata nella cementificazione, edilizia ed esistenziale, del contemporaneo.
Il teatro è necessità e dolore, via di fuga: il gruppo romagnolo, ormai parte della cinquina di eccellenze dell’avanguardia italiana unita in Associazione Lus (con Fanny & Alexander, Societas Raffaello Sanzio, Teatro delle Albe e Teatrino Clandestino, tutte emiliano-romagnole, ci sarà pure un motivo…), prende spunto da una suggestione di Nagisa Oshima, regista cinematografico giapponese autore de L’impero dei sensi, per poi spaziare in un progetto tripartito dedicato a una riflessione sulla giovinezza, sui temi della ricerca e dello smarrimento.
Una scena dominata da un grande schermo al centro, sui cui vengono proiettate geometriche elaborazioni elettroniche e scorci urbani dominati dal cemento (palazzi, rampe, snodi stradali), si apre alle evoluzioni su rollerblade di Silvia Calderoni che, già all’esterno del Teatro Studio di Scandicci, prima dell’inizio dello spettacolo, distribuiva enigmatici volantini sull’allestimento. L’ingresso, infatti, avviene direttamente dalla platea, evitando un’ordinaria panchina rivolta verso la scena, quasi a doppiare la posizione delle postazioni degli spettatori. L’attrice, esile e filiforme, in un costume minuscolo che esalta la magrezza lancinante, gira attorno allo schermo, sottraendosi agli occhi del pubblico per poi riapparire, sulle note di una musica convulsa, fatta di rumori ossessivi.
La scena si anima progressivamente di altre presenze, divenendo spazio polivalente, strada, marciapiede, esterno cittadino di periferia semiabbandonata. Efficace la sequenza in cui, scotch steso sul pavimento a ricreare la linea discontinua d’una carreggiata stradale, due ragazzi vestiti alla bell’e meglio secondo criteri di giovanilismo contemporaneo ingannano il tempo improvvisando evoluzioni e slalom tra automobili che sfrecciano, indicate da puntuali tagli di luce ed effetti doppler sonori.
Arrivano altre figure, dei musicisti, un bassista, una chitarrista, un vocalist percussionista (Sergio Policicchio, Ines Quosdorf e Mario Ponce-Enrile), e sullo schermo rimbalzano altre immagini, di altre periferie, a unire idealmente tutte le periferie possibili: dallo smarrimento postunitario d’una Germania alla ricerca di sé, alla Francia, all’Italia. La multimedialità dello spettacolo sembra rimandare a una parcellizzazione propria del reale, all’impossibilità di raccontare qualcosa senza ricorrere alla frammentazione, a lacerti comunicativi che il fruitore è costretto a mettere insieme, sorta di puzzle privo d’immagine risolutoria.
Si respira un’atmosfera postpunk in questa giovinezza (s)perduta, nella totale assenza di prospettive reali d’un sistema impostato sul principio produci-consuma-crepa, secondo un refrain già di trent’anni fa ma tutt’altro che risolto o superato. Le figure si parlano, danno vita a diversi piani visivi: la scena si frange in differenti situazioni, per poi tornare dominata dallo schermo, nel tripudio ipocrita e fieristico d’una serie di scoppi pirotecnici, fuochi d’artificio che catalizzano l’attenzione degli attori. Ben presto, i fuochi divengono le luci sinistre d’un bombardamento, un attacco aereo: certe periferie sono uguali, ovunque, e l’Europa cede il passo alla memoria di Belgrado, alla Gaza dei giorni nostri.
Lo schermo diventa scatola trasparente: la visione si apre su un interno neutro, con una scala ascendente da sinistra a destra, ai cui piedi sta un divano in pelle e due piante, forse ficus, ad altezza d’uomo. La Calderoni è alla sommità: si denuda, scende lentamente, a quattro zampe, e i la luce laterale ne fascia il corpo, materia prima d’un teatro d’emozione prima che il logos della voce registrata accompagni il gesto.
Le parole, rimbalzi sonori sulla pelle candida distesa nella discesa pseudoanimalesca dell’attrice, sembrano voler opporre un’ostinata speranza, una resistenza, fatta di sé, di voglia di resistenza, una resistenza fatta d'attesa beckettiana mista a non rassegnazione.
Il ritornello del punk storico, nelle note slabbrate della God Save The Queen dei Sex Pistols, era "no future for you": Motus sembra volersi ribellare anche alla costrizione dell’irrimediabile assenza di destino, cercando, nel paradosso di una scena che è scelta di vita e responsabilità, una via di fuga.
Se non un futuro, almeno qualcosa.
Spettacolo emozionante, che richiede collaborazione da parte dello spettatore nel seguire un percorso linguistico non scontato, sebbene la sintassi scenica sia “consueta” per chi abbia esperienza con il teatro sperimentale. Ed è nell’impatto emotivo, forte, trascinante, il lascito migliore dell’allestimento, di gran lunga superiore a un’autoreferenzialità che è spesso moneta corrente d’una certa temperie stilistica.
Applausi convinti del pubblico, cui si uniscono i nostri.
Visto a Scandicci (Fi), Teatro Studio, 9 gennaio 2009.
Spettacolo
X (ics) - Racconti crudeli della giovinezza - X.03 movimento terzo
ideazione e regia di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò
con Lidia Aluigi, Silvia Calderoni, Sergio Policicchio, Mario Ponce-Enrile, Ines Quosdorf
in video Silvia Calderoni, Sergio Policicchio, Denis Kuhnert, Karl Haußmann, Sabine Bock, Toni Bernhardt, Susanne Sudol, Adreas Berger e i gruppi musicali Foulse Jockers (I), Tomorrow Never Come (F), Types of Erin (D) Bring me to my 2nd burial (D)
produzione video: Motus & Francesco Borghesi (p-bart.com)
riprese: Francesco Borghesi, Daniela Nicolò
video compositing: Francesco Borghesi
text compositing: Daniela Nicolò
audio compositing: Enrico Casagrande
sound design: Roberto Pozzi
direzione tecnica: Giorgio Ritucci
luci: Daniela Nicolò
musiche dal vivo: Ines Quosdorf , Sergio Policicchio, Mario Ponce-Enrile
elementi scenografici: Giancarlo Bianchini Arto-Zat, Erich Turroni - Laboratorio dell'imperfetto
consulenza architettura: Fabio Ferrini
foto di scena: Valentina Bianchi, End&Dna
relazioni: Sandra Angelini con la collaborazione di Federica Savini
organizzazione e logistica: Elisa Bartolucci, Valentina Zangari
amministrazione: Cronopios
produzione: Motus, in collaborazione con La Biennale Danza di Venezia, Lux-Scène National de Valence (F), Theater der Welt 2008 in Halle, Istituzione Musica Teatro Eventi, Comune di Rimini "Progetto Reti"
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