(da teatro.org)
La variazione su partitura classica è pane consueto nel laboratorio drammaturgico di Ugo Chiti, penna e regia, non ci stancheremo mai di ripeterlo, tra le migliori del panorama teatrale italiano. L’interpolazione laterale della Metamorfosi kafkiana (testo vincitore del Premio Riccione per il Teatro) si colloca quindi su una direttrice di lungo periodo dell’autore chiantigiano, la stessa de Il fantasma di Canterville secondo la signora Umney con Lucia Poli, il falstaffiano Nero Cardinale e altre numerose sperimentazioni ricavate da un repertorio letterario eletto secondo criteri di prossimità geografica o umorale: Boccaccio, Machiavelli, Shakespeare, Augusto Novelli, Palazzeschi, ma la lista potrebbe continuare.
Kafka è, in qualche modo, autore chitiano per eccellenza, in grado di sposare polarità grottesca, comicità nera e un’irresistibile attrazione verso la vischiosità dei rapporti umani, la loro dannata e dolorosa complessità. In tutto ciò, s’inserisce la mano felice di Chiti nello scrivere parti femminili, nel rendere carne pulsante una drammaturgia che penetra nell’animo muliebre con delicatezza, precisione e crudezza: il pensiero corre sia ai monologhi redatti per Lucia Poli sia all'Adele Gori coprotagonista della trilogia allestita per e con Alessandro Benvenuti.
Il celebre racconto lungo di Franz Kafka viene dunque rivoltato dalla lettura di Chiti, che assume il punto di vista della signora Anna, ciarliera governante a servizio presso i Samsa, nucleo familiare tanto allucinante quanto ordinario che fa da coro a Gregor il mutante.
In un interno borghese di freddi colori pastello dotato di pareti semoventi per ricreare i vari spazi domestici, si consuma il paradossale dramma della trasformazione in scarafaggio da parte del primogenito: modificazione che coglie del tutto impreparati genitori e Greta, la sorella. Questa, interpretata da Lucia Socci, per prima prende a cuore la situazione del fratello, al contrario del dramma materno (cui dà vita Giuliana Colzi) e dell’ondivago atteggiamento del padre (Massimo Salvianti).
Anna, una Giuliana Lojodice cui Chiti ha cucito addosso il personaggio, assiste alla vicenda, prima come occhio esterno, trattata con malcelata sufficienza da parte dei datori di lavoro, per poi assumere un ruolo sempre più centrale nella gestione dell’infausta e imprevedibile circostanza. Col tempo, diviene l’unica a entrare nella stanza dello scarafaggio, tentando di instaurare un rapporto con quello che, si presume, una volta fosse un ordinario ragazzo perbene.
La vita è un processo violento, senza cuore o pietà, alla stessa stregua della specie umana, in grado di far l’abitudine a qualsivoglia supplizio. Ed è così che, tutto scorre, tutto continua, a casa Samsa: il padre, ritrovata forza e autorità (doti che la maturità d’un figlio finiscono inevitabilmente per fiaccare, in senso psicanalitico e non solo), torna al lavoro recuperando aspetto virile e dignità, la madre continua a dolersi del poco coraggio nel non voler affrontare la vista del ragazzo, la sorella, com’è ovvio, continua la propria vita, per quanto sembri la più toccata dall’inusuale accadimento (ne è testimone il rapporto col timido spasimante interpretato da Alessio Venturini).
È Anna, invece, l’unica che parla con Gregor, l’unica che stabilisce, o tenta di stabilire, un contatto reale, umano, per quanto il termine possa risultare improprio.
È una parabola sugli outsider questo Kafka chitiano, confronto e guerra contro una solitudine inenarrabile, una dimensione umana ossessiva e lancinante cui nessuno può scientemente sfuggire. Anna, ruvida, brusca, a tratti comica, scopre nel rapporto con Gregor una via di fuga, illusoria, perché il diverso tale è e tale rimane. Poco importa il cicaleggiare dei pensionanti (Andrea Costagli e Dimitri Frosali) che scopriranno la vergognosa presenza, decretando un palpabile scacco economico per i Samsa: il tentativo di contatto da parte di Anna si risolve in un fallimento, forse previsto, forse inevitabile.
Gregor, o quello in cui egli s’è tramutato, muore, nel silenzio. Le spoglie vengono raccolte in sacchetto dell’immondizia: non c’è rapporto, non c’è dialogo, non c’è speranza.
Anche Anna fallisce, nonostante la paradossale umanità, quella sintonia materna che la colloca una spanna sopra la madre naturale del protagonista mai visibile direttamente in scena. La differenza, quella differenza, è cosmica, esistenziale, metaforica, non meramente fisica: forse un ascolto reale, vero, potrebbe colmarla, un ascolto santo, senza la pretesa d'un ritorno, di risposta, che non s’aspetta niente in cambio.
Le note lugubri del dettato kafkiano sono ben rese nel cambiamento prospettico adottato da Chiti, che fornisce una mise en abîme del celebre racconto. La recitazione degli attori di Arca Azzurra Teatro, unitamente alla brava Lojodice, è ottima, come sempre, diversa rispetto ai canoni consueti del teatro italiano, benché in questa difficile partitura sembri pagare dazio, per quanto parziale.
Del resto, la Metamorfosi, in quanto capolavoro universale, si presta a infinite letture, tanto diverse quanto plausibili: sorprende, conoscendo le corde di Chiti, l’assenza di un piano comico più pronunciato, a limiti del fou, tratto innegabile dell’originale, ma si tratta di interpretazioni e di punti di vista.
Lo spettacolo funziona e rappresenta l’ennesima scommessa vinta da un insieme che vede un ottimo drammaturgo e regista, supportato da una compagnia sempre alla sua altezza.
Visto a Prato, teatro Metastasio, il 19 dicembre 2008.
Spettacolo
Le conversazioni di Anna K.
liberamente ispirato a La metamorfosi di Franz Kafka
testo e regia di Ugo Chiti
scene: Daniele Spisa
costumi: Giuliana Colzi
luci: Marco Messeri
musica originale e adattamento: Vanni Cassori e Jonathan Chiti
con Giuliana Lojodice
e con Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali,
Massimo Salvianti, Lucia Socci, Alessio Venturini
Produzione: Teatro Eliseo / Arca Azzurra Teatro
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