(da teatro.org)
Virgilio Sieni affronta Lucrezio e quel capolavoro assoluto di letteratura, filosofia e scienza che è De Rerum Natura, per trarne uno spettacolo abbacinante, profondo e ambiguo.
In uno spazio ricavato da una serie di teli trasparenti a formare un gigantesco parallelepipedo (alto almeno una decina di metri il doppio di lunghezza), la prima apparizione è una testa animale, nella penombra: con tutta probabilità un cavallo.
La musica, creazione originale firmata da Francesco Giomi, compositore e direttore del Centro Tempo Reale di Firenze, cala il pubblico in un’atmosfera sospesa e lattiginosa, effetto amplificato dal fumo diffuso all’interno di questo immenso big box di velami.
Si visualizza panno alla stregua di un sipario, mantello e nascondiglio per la comparsa dell’equino; il telo cade d’un tratto, precipitando lo sguardo dello spettatore nell’abisso vertiginoso dello spazio vuoto.
Una voce femminile, suadente e soffiata (è di Nada, l’affascinante cantante e cantautrice d’origine labronica) ripete, in italiano, alcuni lacerti del testo lucreziano, mentre, dal fondo della scena, compaiono alcune figure umane: un corpo, forse di bambola, a grandezza naturale, è portato, alla stregua di flessuosa presenza androide, da quattro ballerini, vestiti casual, con ordinarie tshirt e calzoni neri. I piedi sono scalzi e disegnano traiettorie sinuose, nel continuo gioco di piegamenti e plastiche figure cui le braccia dei danzatori applicano all’inerte corpo femminile: non è una bambola, bensì Ramona Caia, parrucca bionda, body rosso. La ragazza rappresenta una Venere di magrezza estrema ed elegante, fuscello leggiadro privo di propria volontà, giocato nelle figure che i quattro (Massimiliano Barachini, Jacopo Jenna, Csaba Molnar e Daniele Ninarello) creano senza sosta, percorrendo in lungo e in largo lo spazio scenico.
La dialettica del dettato di Lucrezio, eterna e incrollabile, tra letizia e orrore, delizia e amarezza, assume la dimensione di mantra che la voce di Nada replica come figura ritornante, risacca logica galleggiante sulle note rumoristiche della colonna sonora.
Le figure umane sfruttano completamente la scena, spesso occupando i corridoi laterali, dietro i veli, che fasci di luce opportunamente direzionati evidenziano in qualità di spazio altro.
I ballerini entrano ed escono, sul flusso ossessivo, allucinatorio di musica e fonica vocale: i costumi mutano, ora Venere è un’apparizione bambina, ora indossa un vistoso costume di paillettes rubine, ora l’apparizione è quella d’una testa di cervo, inquietante e silenziosa. La partitura coreografica allestita da Sieni si alimenta di soluzioni sottili, armonizzando in modo sapiente i corpi degli attori nel giocare coi concetti di vuoto, trasfigurazione, mistero.
La sospensione del fantoccio divino che catalizza l’incipit dello spettacolo, discende progressivamente verso la terra, verso quella coscienza, gioisa e dolorosa al contempo, della natura delle cose, la loro inevitabile vischiosità, l’impasto ineluttabile e materialistico di positivo e negativo.
Le visioni, denudate, inquietanti, e sempre sorprendentemente delicate che Sieni consegna agli sguardi del pubblico sono silenti e profonde, a comunicare un che d’insondabile e muto, quasi offrendo sostanza corporea e, allo stesso tempo, materialisticamente spirituale al discorso di Lucrezio. Una natura delle cose misteriosa, ma impossibile da eludere per la mente dell’uomo, sia costui un autore del I secolo avanti Cristo o uno spettatore contemporaneo.
Visto il 12 dicembre 2008, a Prato, Teatro Fabbricone.
Spettacolo
La natura delle cose
ispirato all'omonima opera di Lucrezio
Regia: Virgilio Sieni
con Ramona Caia, Massimiliano Barachini, Jacopo Jenna, Daniele Ninarello, Csaba Molnar, Virgilio Sieni
musiche: Francesco Giomi
voce narrante: Nada
Produzione: Teatro Metastasio Stabile della Toscana /Torinodanza/Compagnia Virgilio Sieni/Comune di Siena
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