VOLTERRA (Pisa) - Valeria Raimondi ed Enrico Castellani, corpi e cervelli di Babilonia Teatri, presentano il loro Made in Italy (vincitore del Premio Scenario 2007) nell'ambito della kermesse Volterra Teatro 2008. Messinscena rapida, nevrotica, urlata e musicata, a rappresentare per flash abbaglianti il delirio massmediatico dell'Italia contemporanea
Un urlo lancinate. Luce bianca, sparata per un secondo, due corpi nudi. Buio. Made in Italy di Valeria Raimondi ed Enrico Castellani (attori, autori e registi dell'allestimento) inizia con un flash violento. Musica. Raccolgono nella penombra i vestiti caduti dall'alto di un'americana posta in corrispondenza del centro della scena. Torna la luce. Sono vestiti. Si passano la parola, senza dialogo: frasi sconnesse, lacerti di slogan, forme idiomatiche rubate a massmedia, gente comune, varia umanità, tra italiano standard e veneto sporco, denuncia d'un Nord Est malato irrecuperabile.
Lui è alto, vestito d'un curioso completo verdastro, maglia a righe. Sarebbe un bello, e lo è, ma colpisce la dimensione buffa, una certa fissità di maschera a costituire la cifra migliore della sua interpretazione. Lei, gonna scura e maglia rossa ricalcante le rotondità, è ammiccante, parodica, sfrontata, tendente all'aggressivo, sopra le righe, ma non troppo efficace. Testo che funziona per accumulo, immagini, fotografie sovresposte di un'umanità, quella italiana, al delirio: da un lato proiettata verso un futuro di rumorosa velocità, dall'altro tetragona nel perseguimento di eterne e minime certezze, millenarie paure, a chiusura stagna verso qualsiasi forma di diversità.
Le voci s'alternano, sovrappongono, recitano all'unisono parole che, conflagrando, danno vita a nuovi residui di (non)senso. E le bestemmie, matrice tradizionale di un Veneto beghino quanto blasfemo nella sua rusticità, partecipano d'un delirio verbale disperato e nevrotico. Il tutto, d'altro canto, assume i contorni d'un colossale già visto: già visto il lavoro sul testo (da Nanni Balestrini a Bergonzoni, pur rispettandone le differenze d'ambito), gie viste (e sentite) le bestemmie (il Benigni di Cioni Mario di Gaspare fu Giulia era un trionfo dell'escrologia, topos letterario satirico basato sull'insulto rituale di matrice arcaica), già visti e sentiti i contenuti (attacchi al papa, al razzismo diffuso, al fascismo strisciante). Il vero problema, però, non è neppure un'assenza di originalità che, francamente, potrebbe pure passare. Il punto è la difficoltà a sfondare il muro d'un consenso previsto (così come l'altrettanto prevedibile dissenso), col risultato di perpetrare una prospettiva destinata al residuale. Rassicurante, rispetto all'ambiente destinatario naturale di un certo tipo di spettacolo.
Le voci s'alternano, sovrappongono, recitano all'unisono parole che, conflagrando, danno vita a nuovi residui di (non)senso. E le bestemmie, matrice tradizionale di un Veneto beghino quanto blasfemo nella sua rusticità, partecipano d'un delirio verbale disperato e nevrotico. Il tutto, d'altro canto, assume i contorni d'un colossale già visto: già visto il lavoro sul testo (da Nanni Balestrini a Bergonzoni, pur rispettandone le differenze d'ambito), gie viste (e sentite) le bestemmie (il Benigni di Cioni Mario di Gaspare fu Giulia era un trionfo dell'escrologia, topos letterario satirico basato sull'insulto rituale di matrice arcaica), già visti e sentiti i contenuti (attacchi al papa, al razzismo diffuso, al fascismo strisciante). Il vero problema, però, non è neppure un'assenza di originalità che, francamente, potrebbe pure passare. Il punto è la difficoltà a sfondare il muro d'un consenso previsto (così come l'altrettanto prevedibile dissenso), col risultato di perpetrare una prospettiva destinata al residuale. Rassicurante, rispetto all'ambiente destinatario naturale di un certo tipo di spettacolo.
Gli inserti musicali, ispirati a un pout-pourri schizoide e variopinto, riflettono la multiformità del testo, così come i movimenti, a scatti, vibranti e secchi, degli attori. L'insieme ricorda certe scelte dei film di Roberta Torre, deportate, però, dal caleidoscopico e vitale Sud Italia alla claustrofobica e mortifera dimensione d'un Nord Est alla frutta. Il momento più intenso della performance è quello in cui si diffonde la voce del telecronista Flavio Caressa in occasione della vittoria dell'Italia al mondiale di calcio tedesco: all'esultanza urlata, malata, macchiata d'un buonismo perverso e simulato (l'invito ad abbracciarsi, a celebrare un evento come fosse totalizzante per una nazione di sessanta milioni d'abitanti...), corrispondono le movenze di gioia epilettica di Castellani, con una cannottiera con su scritto "Io sto bene".
Ci sono, appunto, i CCCP di Ferretti e (soprattutto) Zamboni, dietro questo spettacolo, ben al di là della citazione sonora: c'è la disperazione d'una porzione d'Italia che vive una metastasi uguale e contraria rispetto a quelle subite in altre zone (si pensi a Roma, per non scomodare il "solito" Meridione o la Napoli "ripulita" dall'ex cantante di crociera...) e che fatica a trovare forme efficaci esprimerla.
Ci sono, appunto, i CCCP di Ferretti e (soprattutto) Zamboni, dietro questo spettacolo, ben al di là della citazione sonora: c'è la disperazione d'una porzione d'Italia che vive una metastasi uguale e contraria rispetto a quelle subite in altre zone (si pensi a Roma, per non scomodare il "solito" Meridione o la Napoli "ripulita" dall'ex cantante di crociera...) e che fatica a trovare forme efficaci esprimerla.
Si chiude con un terzetto da immagine sacra: il corpacciuto tecnico di palco, che aveva agito ai margini della scena, spostando riflettori e azionando i rudimentali giochi scenici dello spettacolo (presenza umana se non esibita, certo non celata allo spettatore, alla stregua dei manovratori di pupazzi nel teatro No), si veste da improbabile angioletto, fuoriuscito, si direbbe, da un film di Ciprì e Maresco. L'audio è quello della ripresa televisiva dei funerali di Pavarotti, offerti nella prospettiva inumana d'una celebrazione monstre da massmedia, vorticosa banalità catodica d'idiozie assortite. I movimenti in scena sono ora compassati, quasi ieratici, a seguire ironici l'immaginaria kermesse delle Frecce Tricolori.
Non si salva, purtroppo, uno spettacolo sembrato pretenzioso nelle intenzioni e poco riuscito negli esiti, pur tenendo conto che la peculiare poetica espressa da Raimondi-Castellani si muove su un rifiuto (post-punk, di certo cosciente e meditato) d'una qualsiasi enucleabile dimensione estetica.
Il pubblico plaude, ma è relativo (come, ovviamente, il presente giudizio): sono, siamo, tutti d'accordo (forse). Il problema non sono i contenuti, quanto la forma che li esprime e che, facendo teatro, è essa stessa contenuto al massimo grado.
O sarà, forse, che, dopo aver visto il Beckett di Cluchey, è veramente difficile non essere del tutto intransigenti.
Il pubblico plaude, ma è relativo (come, ovviamente, il presente giudizio): sono, siamo, tutti d'accordo (forse). Il problema non sono i contenuti, quanto la forma che li esprime e che, facendo teatro, è essa stessa contenuto al massimo grado.
O sarà, forse, che, dopo aver visto il Beckett di Cluchey, è veramente difficile non essere del tutto intransigenti.
Visto a Volterra, teatro di San Pietro, 23 luglio 2008.
Spettacolo
Made in Italy
scritto, diretto e interpretato da Valeria Raimondi e Enrico Castellani
scene: Babilonia Teatri / Gianni Volpe
costumi: Franca Piccoli
movimenti di scena: Luca Scotton
produzione: Babilonia Teatri, in coproduzione con Operaestate Festival Veneto e con il sostegno di Viva Opera Circus/Teatro dell'Angelo
Made in Italy
scritto, diretto e interpretato da Valeria Raimondi e Enrico Castellani
scene: Babilonia Teatri / Gianni Volpe
costumi: Franca Piccoli
movimenti di scena: Luca Scotton
produzione: Babilonia Teatri, in coproduzione con Operaestate Festival Veneto e con il sostegno di Viva Opera Circus/Teatro dell'Angelo
foto originali di Igor Vazzaz
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