(da loschermo.it)
BUTI (Pisa) – Al Teatro Francesco di Bartolo il Don Fausto di Antonio Petito, rielaborato e allestito con acume da Arturo Cirillo. Tra reminiscenze cervantiane e spunti comici d’effetto, uno spettacolo musicale e intenso, che rende giustizia sia alla grandezza dell’autore originario sia al coraggio di una messinscena che non si sottrae al confronto, parodico ma non semplicistico, col mito
Divertente e per niente facile (nel senso di banale) il Don Fausto che Arturo Cirillo allestisce riservando per sé la sola veste di regista. Testo tra i più raffinati e sinuosi di quel geniaccio che fu Antonio Petito, acrobata scenico ottocentesco affatto incline alla parodia colta: presso il "suo" San Carlino (sito in Largo Castello, Napoli), dirimpetto al ben più quotato Teatro Fondo (l’attuale Mercadante) ove andavano in scena opere e spettacoli "alti", il celebre Pulcinella era uso mettere in scena le formidabili farse ch’egli stesso scriveva, pardon dettava (era praticamente analfabeta), reinterpretando con arguzia corrosiva i modelli aulici proposti dal rispettato spazio concorrente.
Parodia goethiana, il testo di Petito narra la paradossale vicenda di Fausto, appunto, Barilotto, uomo d’una certa età che principia a pazziare causa l’omonimia con il demonico personaggio tragico. Sorta di Don Chisciotte in versione partenopea, egli vede ciò che vuol vedere, recludendosi nell’ambito di una sognante e ridicolosa follia. Nel tentativo di rinsavirlo, all’interessato scopo di concludere la serie di matrimoni già combinati e strettamente connessi alla sanità mentale del personaggio, i familiari, assieme a un Pulcinella in versione femminile, vengono aiutati da una compagnia di guitti: ripercorrere in modo fittizio il mito faustiano sarà la chiave di volta per far rinsavire chi, vanamente, sogna di tornare giovane e innamorato.
Cirillo assume e riadatta la storia, quindi, sondandone profondamente le potenzialità linguistiche, con un lavoro di intenso carotaggio fonetico: Fausto, l’eccellente Salvatore Caruso, finto guappo dalle movenze a tratti marionettistiche e sempre rapide, si esprime con un napoletano sporco e musicale, non sempre intelleggibile, ma d’assoluta presa emotiva. Al suo fianco, il carontesco e fittizio Mefistofele di Rosario Giglio, dalla declamazione robusta e rotonda, colui che, attorucolo di provincia, elabora il piano per curare l’(in)Fausto protagonista. Lo aiutano i comprimari Antonella Romano e Luciano Saltarelli, nonché la sorprendente Pulcinella di Sabrina Scuccimarra, del tutto a proprio agio, soprattutto sotto il profilo mimico. La maschera napoletana è declinata al femminile, demone inferica e oggetto del desiderio che guiderà il viaggio sapienziale del pazzo Barilotto. Una storia simbolica, topos esemplare della modernità, che fa del teatro e dell’illusione veicolo terapeutico e inganno salvifico: si pensi ai giorni nostri, pur nelle copiose differenze, agli stratagemmi di La vita è bella, Train de vie o Good bye, Lenin o, di nuovo con Benigni, all’ordine ritrovato (ma trattavasi di caso inverso) nella riconduzione agli inferi del pinocchiesco Giuditta ne Il piccolo diavolo, scortato dalla "diavolessa" Braschi.
Petito, va detto, è per Cirillo un trampolino: della storia originale, infatti, rimane la cromatura linguistica, nonché la situazione di partenza, giacché la messinscena del teatrante di Castellammare di Stabia sembra invece concentrarsi su un aspetto peculiare della vicenda, quella saldatura profonda e irrisolvibile tra mito (germanico) e cultura popolare mediterranea. È una gioventù negata quella cui aspirerebbe don Fausto, sconfessata dal teatro nel teatro allestito per la sua terapia, a cui lui crede sino alla fine. La musica è volano dell’allestimento, con canzoni intonate con maestria dagli stessi attori, così come certi arredi scenici plurifunzionali e simbolici, quale il gigantesco uovo su cui siede Pulcinella e che si rivela nicchia e riparo iniziale da cui compare Fausto.
Desta forse qualche rammarico il fatto che le ridotte dimensioni del palco del di Bartolo certo penalizzano in parte sia l’effetto visivo, creando un involontario sovraccarico scenico, sia, forse, quello sonoro, con volumi non sempre uniformi.
Di certo, la prospettiva di Cirillo, che forza il tessuto farsesco in favore d’un effetto magico non privo di un’amarezza stranita, rappresenta un’ulteriore evoluzione nella poetica del regista, proficuamente inserita nel solco di un continuo e inesaurito dialogo con la tradizione e che lo segnala quale (ennesimo) valido esponente di un moderno teatro napoletano, così come il grande Enzo Moscato in scena venerdì e sabato a Scandicci.
Visto a Buti, Teatro Francesco di Bartolo, il 22 gennaio 2008.
Spettacolo
Don Fausto
di Antonio Petito
regia: Arturo Cirillo
con: Salvatore Caruso, Rosario Giglio, Luciano Saltarelli, Antonella Romano, Sabrina Scuccimarra
scene: Massimo Bellando Randone
costumi: Gianluca Falaschi
musiche: Francesco De Melis
luci: Andrea Narese
produzione: Nuovo Teatro Nuovo Stabile di Innovazione e Vesuvioteatro
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