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da teatro.org

a fondo pagina la maschera di ricerca per gli spettacoli

martedì 28 ottobre 2008

Non solo kletzmer per Moni Ovadia

(da teatro.org)
La cultura ebraica è uno dei poli d’attrazione costanti per Moni Ovadia, artista polivalente, perennemente in bilico tra teatro, musica, satira e canto. Del resto, la sua stessa biografia conferma le due tendenze, dalla nascita in terra bulgara (la famiglia si trasferisce quasi subito a Milano) all’attrazione per il mondo yiddish, il percorso culturale di questo attore eclettico è improntato al nomadismo, in parallelo ai molti “oggetti” della sua ricerca espressiva.

Kavanàh rappresenta, però, un capitolo a parte della parabola ovadiana: non è teatro in senso stretto, come nelle numerose riprese brechtiane, non è musica kletzmer o ricerca popolare, sulla scia del maestro Roberto Leydi (con il celebre etnomusicologo, nel gruppo Almanacco Popolare, Ovadia muove i primi passi come cantante e musicista), bensì riscoperta della celebrazione, del sacro, di una dimensione spirituale che costituisce solo in parte una sorpresa nella poetica di questo cantattore. In ogni spettacolo, in ogni libro o disco, Ovadia, fieramente agnostico, materialista, di sinistra, lascia sempre trapelare il tarlo del dubbio, l’irrequieto interrogarsi sul senso dell’esistenza, andando incontro, e mai eludendo, i problemi rappresentati da una spiritualità ineffabile e, al contempo, non ignorabile.

Kavanàh rappresenta un’ulteriore tappa di questo viaggio, complesso e paradossale, nel mondo dell’ebraismo, affrontando uno dei suoi aspetti più difficili, e da penetrare e da tradurre in spettacolo, ossia i canti della sinagoga, la tradizione corale semitica. Il canto non è mera esecuzione canora, la fonazione non rappresenta la sola forma di relazione col sacro, bensì incarna la sostanza d'una tradizione monoteista che vede nel suono il principio del cosmo. Dio è voce, si manifesta con essa, crea il mondo per mezzo di essa: Ovadia, al centro di una scena spoglia, con un quartetto sui generis ad accompagnarlo (due violini, una viola e un contrabbasso al posto del classico violoncello), si esibisce alternando canti sacri a racconti, aneddoti, precisazioni bibliche, nel tentativo di “spiegare” il fascino irresistibile della tradizione ebraica, in grado di accogliere in modo non traumatico persino l’ateismo tra le proprie opzioni “di fede”.
Ed è il canto, la voce, la phonè, a costituire l’aspetto centrale, sia dello spettacolo sia della questione posta dall’attore: l’ebraismo non è teofania, bensì teofonia, e cantare rappresenta la modalità principale di rapportarsi al divino, di creare un legame tra l’interiorità e una spiritualità superiore ancorché ineffabile. Curioso ma non troppo che l’idea di uno spettacolo simile (disponibile anche in dvd corredato da un libro, informazioni al sito www.moniovadia.it) sia stata suggerita all’artista dall’incontro con una suora cattolica libanese, Marie Keyrouz, vero e proprio fenomeno in senso sia artistico (ha venduto milioni di dischi di canti sacri) sia culturale (insegna matematica e fisica alla Sorbonne di Parigi) sia religioso (è tuttora missionaria e si dedica ai bambini più poveri): come detto in precedenza, la ricerca di Ovadia è agnostica, ma non rifugge, non snobba, non sottovaluta il diverso da sé. È laicismo concreto e integro, che non rifiuta a priori, anzi, affronta sempre il dubbio.

Lo spettacolo è interessante, la voce di Ovadia ha bisogno un po’ di scaldarsi, dato che nei primi brani, non poco impegnativi, si avverte qualche difficoltà d’intonazione: l’intensità è comunque innegabile, ed è questo che al pubblico interessa maggiormente. Le digressioni dell’attore sono a tratti divertenti, mai banalizzanti e ottengono il risultato d’attrarre l’attenzione del pubblico, cosa che, dato l’argomento, è tutt’altro che scontata. Resta la perplessità circa l’operazione, la sua reale integrità: è possibile utilizzare un repertorio d’impronta religiosa per farne spettacolo, pur con le migliori intenzioni (filologiche, filosofiche ed etiche) senza comprometterne ineluttabilmente il senso, senza snaturarlo? Forse no, ma non è certo Ovadia a poter sciogliere un dubbio del genere, legato a doppio filo con la natura insidiosa della nostra La Société du spectacle.
(visto a Pontedera, Teatro Era, 26 ottobre 2008)

Spettacolo
Kavanàh
canti della spiritualità ebraica
di e con Moni Ovadia
Strumentisti: Carlo Cantini (violino), Valentino Corvino (violino), Sandro di Paolo (viola), Stefano Dall’Ora (contrabbasso)
Produzione: Promomusic

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