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sabato 1 dicembre 2007

Sorridere da morire

(da loschermo.it)
LUCCA - Il sorriso di Daphne di Vittorio Franceschi per la regia di Alessandro D’Alatri (all’esordio scenico) ha riscosso un discreto successo nelle due repliche tenutesi al Teatro del Giglio. Spettacolo tra le rivelazioni della stagione passata, forte di un testo nuovo che ha ottenuto vari riconoscimenti di livello nazionale (Premio Enrico Maria Salerno 2004, Premio ETI-Gli Olimpici del Teatro 2006 e Premio Ubu Nuovo testo italiano 2006)

Ha un fascino tutto particolare questo Sorriso di Daphne, pièce di Vittorio Franceschi e allestimento prodotto da Nuova Scena – Arena del Sole – Stabile di Bologna: diremmo che il tratto caratteristico sia una delicatezza, una leggerezza di certo encomiabile, nell’affrontare problematiche ad altissimo rischio di frusta e pomposa retorica.

La storia: il vecchio studioso di botanica Vanni, ben interpretato dal medesimo Franceschi, è gravemente malato, d’un male che lo sta, lentamente, divorando. È un paradosso per uno come lui, lepido, d’un umoraccio cinico e diretto, sempre pronto a recitar la parte del Bastian contrario. Vittima del suo bisbetico affetto e dei suoi strali all’indirizzo di Dio, la società e il mondo, è la sorella Rosa, donna semplice, cattolica, che ha sacrificato la vita ai doveri familiari e cui Vanni rinfaccia reiteratamente i fallimenti. Nei panni di questa, Laura Curino, brava nel dare profondità al personaggio, giocando con le sue mancanze, i suoi scarti ingenui, senza mai trasformarlo in macchietta monodimensionale.
Protagonista non parlante della scena è la Daphne del titolo: una pianta sconosciuta che Vanni ha ricuperata da un viaggio nel Borneo e che potrebbe rappresentare un serio attributo per arrivare al Nobel (“tanto ormai, lo danno a cani e porci!”, la venefica osservazione più volte ripetuta dai personaggi).
A turbare il buffo ménage di questa strana coppia arriva Sibilla (Laura Gambarin), giovane studentessa di Vanni, bella, intraprendente e all’inizio della propria carriera di botanica. Lo studioso l’aveva portata con sé in alcuni viaggi precedenti, considerandola qualcosa di più che una semplice erede di studi.

Il rapporto Vanni-Sibilla appare sin da subito come esclusivo in senso etimologico: a fare le spese di questo improbabile triangolo sentimentale è la povera Rosa, che assiste sia alla salute compromessa del fratello sia all’evoluzione ulteriore di un amore impossibile. La relazione professore-ex studentessa è infatti qualcosa di più di quello tra docente e discente: sodalizio intellettuale, certo, che sfocia in un rapporto sentimentale complesso, ben illustrato dalla mano leggera dell’attore-drammaturgo.
Il male è inesorabile, contrappasso feroce a minare le facoltà mentali d’un uomo che ha nell’intelligenza la propria forza principale: un forte senso di morte aleggia per tutto lo spettacolo, trattato però con eleganza, estrema delicatezza, senza cedere alla tentazione d’un tragico impossibile o, peggio ancora, d’un banalizzante patetico.

Vanni è cosciente di non aver futuro, esistenziale (morirà in breve) o tanto meno sentimentale, e convince faticosamente Sibilla a somministrargli una foglia della Daphne: la pianta, infatti, secerne un veleno portentoso e sconosciuto, che la medicina occidentale non può rinvenire. La scena della morte è intensa, con l’ulteriore contrappasso, per l’ateo Vanni, d’un richiamo al sacramento dell’eucarestia. È Sibilla che, per amore, aiuta Vanni a morire.

Lo spettacolo avrebbe potuto arrestarsi qui, e già sarebbe stato un successo: parlare d’eutanasia in modo misurato ed elegante è cosa assai rara di questi tempi, ma Franceschi ha voluto rendere giustizia anche al personaggio forse più difficile del testo, ossia la “sciocca” Rosa.
Questa compare infatti nel finale, indaffarata a disfare l’arredamento della casa condivisa con Vanni (molto bella la scenografia unica realizzata da Matteo Soltanto): entra quindi Sibilla e nell’ultimo dialogo si svela che la sorella ha capito tutto, perché l’amore sa raggiungere ciò che la mente, forse, non potrebbe cogliere.

Lo spettacolo ha un andamento leggero, impreziosito dalla tematica che, lo ribadiamo, Franceschi affronta e sfiora con eleganza.
Gli applausi finali sono convinti, col solo rammarico che, siamo al venerdì, il teatro avrebbe potuto (e dovuto) essere più gremito.

Visto a Lucca, Teatro del Giglio, 30 novembre 2007.

Spettacolo
Il sorriso di Daphne
due tempi di Vittorio Franceschi
Premio "Enrico Maria Salerno" 2004
regia: Alessandro D'Alatri
con Vittorio Franceschi (Giovanni, detto Vanni), Laura Curini (Rosa), Laura Gambarin (Sibilla)
musiche: Germano Mazzocchetti
scene: Matteo Soltanto
costumi: Carolina Olcese
luci: Paolo Mazzi
suono: Federica Giuliano
assistente regista: Gabriele Tesauri
assistente alla regia: Marla Moffa
in collaborazione con La Ribalta - Centro Studi "Enrico Maria Salerno"
produzione: Nuova Scena – Arena del Sole – Stabile di Bologna

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