All’insegna del paradosso sono state anche le condizioni in cui si è consumato il ritorno all’assurdo da parte di Massimo Castri che, dopo il successo del beckettiano Finale di partita (Premio Ubu 2010 ex aequo come miglior spettacolo), sceglie Ionesco per tornare al Metastasio di Prato, dov’è stato direttore artistico dal 1994 al 2000. Il regista toscano (nato a Cortona, con un passato da cabarettista a Firenze negli anni Sessanta), per problemi di salute, non ha presenziato alle prove, dirigendole a distanza grazie all’aiuto prezioso di Marco Plini, suo fido collaboratore da diciassette anni.
La cantatrice castriana si dipana con grande misura nell’equilibrio d’un allestimento fedele a quel gusto rétro che, un caso fortuito occorso al debutto, segnò gran parte degli allestimenti successivi. L’interno borghese dai toni pastello, asimmetrico, sospeso nel nero dei fondali scenici, coincide col salotto degli Smith, ordinaria coppia inglese còlta nel corso d’un dopocena qualsiasi. Ionesco, nell’atavico tentativo del drammaturgo di condizionare la messinscena, infarcisce il testo di didascalie e Castri, registicamente malizioso, affida la lettura della prima di esse a un personaggio (Francesco Borchi), colui che, in seguito, sarà il capo dei pompieri.
Lo spettacolo inizia e la squinternata scherma verbale dei personaggi-fantoccio s’impenna nella felice interpretazione della compagnia del MET: la storica traduzione di Gian Renzo Morteo scorre fluida con la declamazione quasi straniata di Valentina Banci e Mauro Malinverno, contraltare alla fissità d’un quadro scenico cristallizzato nell’inanità che contraddistingue la pièce. La stagnazione contratta domina La cantatrice, nel reiterato battere le tre del pendolo, nell’arrivo vacuo dei coniugi Martin (Fabio Mascagni e Elisa Cecilia Langone): parlano, straparlano, e l’incongruenza coatta dei dialoghi tanto (ab)usati sfonda il muro dell’insignificanza.
La dimensione ridicola, certo, è la cartina di tornasole d’una pièce che non indigna più, innegabilmente invecchiata dai fischi del maggio ’50: rispetto all’epoca, la vena corrosiva distilla nonsensi irresistibili, reiterazioni, giochi d’accumulo e sconfessioni che ritroviamo in tanto teatro d’oggi, ma ha perduto parte del significato originale. Certo, il nonsenso è tra noi, nella vita contemporanea, ma non è la condizione storica che interessava a Ionesco, quanto quella esistenziale, irrimediabile e immutabile. Nondimeno, l’allestimento di Castri denota una grande coscienza dello stato del testo, riuscendo, tutto sommato, a far tornare i conti. Non è certo l’unica Cantatrice auspicabile, ma, senza dubbio, ne è una versione più che plausibile.
Visto: a Prato, Teatro Metastasio, il 29 novembre 2011
Spettacolo
La cantatrice calva di Eugène Ionesco
traduzione Gian Renzo Morteo
regia: Massimo Castri
con la collaborazione di Marco Plini
scene e costumi: Claudia Calvaresi
progetto luci: Roberto Innocenti
musiche: Arturo Annecchino
aiuto regista: Thea Dellavalle
personaggi e interpreti:
signor Smith - Mauro Malinverno
signora Smith - Valentina Banci
signor Martin - Fabio Mascagni
signora Martin - Elisa Cecilia Langone
Mary, la cameriera - Sara Zanobbio
il capitano dei pompieri - Francesco Borchi
produzione TEATRO METASTASIO STABILE DELLA TOSCANA
Prima nazionale