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sabato 9 maggio 2009

Frankestein, o la mostruosità dell'esistenza

Il Novecento ha variamente sfruttato Frankenstein, al cinema, in tv, a teatro, spesso banalizzandone la portata, calandolo in fuorvianti atmosfere orrorifiche, facendo leva sulla mostruosità più accessibile ed evidente. Di rado si è toccata la questione più delicata, e tuttora irrisolta, della creazione artificiale di un essere vivente e delle conseguenze del caso. In questo senso, l’operazione di Stefano Massini, autore cui l’attributo giovane può suonar del tutto riduttivo (è un complimento), ha certo una sua validità, ribadita pure dalle note di regia che accompagnano la prima assoluta dell’allestimento.

Un grande schermo sul fondo della scena si staglia d’un barlume lentissimo, offrendo il profilo sfocato d’un volto non si sa se umano o deforme. La peculiare voce di Sandro Lombardi, non bella in sé, ma avvolgente, un poco flautata e oltremodo magnetica, azzarda un racconto franto, un discorso sulla nascita coatta e la tragicità dell’esistenza in quanto tale. Le parole smozzicate, non del tutto comprensibili, lasciano percepire il dolore d’un venire al mondo non solo forzato, ma gratuito, non richiesto. Le asserzioni di questo Frankestein dolente sono parole buone non solo per un essere aberrante della sua risma: parlano a tutti noi, riecheggiando in qualche modo il satiro Sileno catturato da Re Mida, in un mito greco riportato da Friedrich Nietzsche ne La nascita della tragedia: il segreto dell’esistenza umana è non essere nati o, una volta venuti al mondo, morire il prima possibile.

La bella scena polivalente creata da Laura Benzi accoglie quindi da una botola pavimentale l’ingresso dei personaggi: quadretto di famiglia con partoriente, assistita dal marito e coadiuvata da un’ostetrica ciarliera. La storia di Victor (interpretato da Daniele Buonaiuti) viene dunque ripercorsa, stravolgendo, di conseguenza, la narrazione del romanzo: è il futuro dottor Frankestein, cocciuto Dedalo alla ricerca degli ultimi segreti per sconfiggere la morte, al centro della vicenda, in un percorso diretto alla terribile creazione. Sorta di Stationendrama, questo Frankestein massiniano offre stralci salienti della vita di Victor intervallati dai monologhi della bestia, della creatura, a rinfacciare al padre la mostruosità ultima e irreversibile: avergli dato la vita.

La partitura drammaturgica, ricca di spunti e riferimenti mitologici o religiosi (gustosa la parodia del giardino dell’Eden rappresentata dalla biblioteca paterna, con una e una sola sezione di libri "proibiti") ha il merito innegabile di non semplificare la questione frankensteiniana, ma, da questo punto di vista, l’obiettivo polemico, se così è concesso di dire, non è certo l’originale letterario, capolavoro assoluto in un secolo così vivido e strabiliante per la letteratura inglese, quanto la sua ricezione novecentesca. Non si vuol certo deprezzare uno spettacolo ben condotto, con qualche pecca risolvibile nell’interpretazione attorica, quanto però ravvisare, eventualmente, alcuni margini (ancora) inespressi del testo e dell’allestimento. Rapportarsi ai classici, tale è da considerare il romanzo della Shelley, è operazione da incoraggiare e che Massini pratica spesso (il Van Gogh de Il rumore assordante del bianco è, del resto, anch’egli un classico, latu senso, della nostra cultura), ma oltre al coraggio di interrogarli e/o stravolgerli, il risultato dovrebbe essere di aggiungere, evidenziare, portare alla luce degli aspetti se non originali, almeno ignoti dell’opera o dell’artista preso come riferimento. Pensiamo, a titolo d’esempio, all’inesauribile serie d’Amleti beniani, alle operazioni scespiriane di Leo, alle (de)costruzioni testuali e teatrali che abbondano nell’ambito scenico del miglior teatro italiano degli ultimi cinquant’anni. Di fronte a questi confronti, del tutto giustificati poiché Massini è, lo crediamo, teatrante di razza, questo Prometeo moderno rischia d’impallidire, pur nell’evidenza dei suoi meriti: non riesce nell’impresa di graffiare l’anima dello spettatore, imprimendo nel ricordo un’impronta di dolore, che l’accompagni anche fuori dal teatro, e nei giorni successivi.

Questo Frankestein, dalla realizzazione visiva godibile, dalla scrittura intensa e ben calibrata, dall’interpretazione discreta, ma ancora forse in fieri (da citare in positivo, l’energico padre di Amerigo Fontani, forte e ben deciso nell’arginare, senza successo, gli ambiziosi progetti del figlio), rischia purtroppo di mancare di sangue, finendo per assimilarsi ad altre visioni, altri spettacoli non male ma, alla fine, neppure troppo bene e sappiamo che questo è un risultato ben distante dalle giustissime intenzioni dei suoi realizzatori.

Visto a Prato, Teatro Fabbricone, 8 maggio 2009.

Spettacolo
Frankestein ossia il Prometeo moderno
ispirato liberamente all'omonimo romanzo di Mary Shelley
con Luisa Cattaneo, Silvia Frasson, Amerigo Fontani, Alessio Nieddu, Simone Martini,Antonio Fazzini, Roberto Posse e Sandro Lombardi (in video)
testo e regia: Stefano Massini
produzione:
Teatro Metastasio Stabile della Toscana

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