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giovedì 10 febbraio 2011

Non recensite Rezza


Anche nel suo ultimo spettacolo, 7-14-21-28il performer si esibisce nel labirinto scenografico creato ad hoc da Flavia Mastrella. Le loro sperimentazioni sul linguaggio di scena spiazzano sia il pubblico che la critica


La recensione non è il modo ideale per affrontare il teatro, e l’arte in genere, quando questi fanno del linguaggio (e non della lingua) il proprio campo di battaglia, mettendo in crisi forme convenzionali e proponendone di nuove. È il caso di Antonio Rezza e Flavia Mastrella: troppo sfuggente il loro discorso, nell’immediatezza apparente d’una comicità crudele che conduce spettatori e critica sui terreni impervi del travisamento, puntando al dito e ignorando la luna.
E lo strabismo - commovente per ingenuità - di certe cronache su 7 – 14 – 21 – 28, conferma quanto sia arduo assistere alle evoluzioni di questo macilento acrobata di corpo e parola, per poi chiudersi nel proprio studio e spremer meningi alla cerca di qualcosa d’intelligente da dire.

Non è teatro ordinario, quest’unione di visionario furore figurativo ed esasperata performatività nichilista. Non è teatro ordinario, di testo, di regia, d’autore, ma una scrittura scenica nata a teatro e per il teatro, espressa nel suo farsi, innervata dall’interazione di corpo e parole e da quelle architetture saettanti, elastiche, tutte strappi, vuoti e tensioni, che la Mastrella da anni sottopone al funambolico attore. E, se non è teatro ordinario, vien meno la forma giornalistica eletta, quella cronaca tesa all’interpretazione arguta, all’intuizione colta, quando non alla posa culturale compiaciuta, fiduciosa nelle magnifiche sorti e progressive della comunicazione. Più adatto sarebbe lo studio - nella sua etimologia di desiderio e amore - non per capire, ma solo per sentire, per percorrere le tracce d’un discorso divertente (anche qui nell’etimo) e feroce. Non si può parlare comodamente di chi muore in scena né, tantomeno, ci si può ritirare in ordine con la coscienza a posto.
rezza 2.jpgA fronte della costante costrizione attorica all’interno delle intelaiature scenografiche, nella sequenza degli spettacoli dei due artisti si avverte una progressione sottrattiva, sia sotto il profilo visivo, sia per il lavorio inesaurito sulle dinamiche corporee e verbali del Rezza performer. Da una bidimensionalità quasi pittorica (Pitecus, 1995, e Io, 1998), gli habitat allestiti da Flavia acquisiscono plastica profondità: in 7 – 14 – 21 – 28, elementi in apparenza quotidiani contribuiscono a una dialettica di volumi triangolari, nella raffigurazione d’un inatteso ideogramma scenico.
Domina la verticalità: soltanto l’attore percorre traiettorie piane e forsennate. Non solo: Rezza s’estenua, facendo di sé, del proprio corpo scavato, nevrotico, flessuoso, e di quel volto da Totò cubista, un teatro nel teatro d’inusitata spietatezza. Fiato rotto, devastato, torace teso nelle beffarde evoluzioni all’altalena o nella mimica di caos industriali, dribblando con perizia qualsivoglia tentazione didascalica.

Non c’è filo, benché sia naturale cercarlo: i tremendi solipsismi attorici sono trappole spietate di cataclismi (in)umani, gag di reiterazione comica, sfibratura linguistica, logorio d’ogni significazione plausibile. Evocare precarietà, pedofilia religiosa e fondi allo spettacolo non ha fine né natura sociale; la scatologica, viperina stilettata al teatro di narrazione non è attacco polemico (anch’esso sociale), ma atroce e disperata contestazione di qualsiasi istanza affermativa, aggressione all’idea stessa del narrare quale metastasi espressiva, non dissimile dagli attacchi al figurativo operati da Bacon. Il campo di battaglia non è, né può essere, la società, ma l’esistenza, la tentazione di esistere per dirla con Cioran.

La numerologia, denunciata nel ritmo da filastrocca marziale del titolo, è anch’essa sfida estrema, sottrazione ultima: di senso, di logos, di pedagogia. Lo spazio è delirio aritmetico fattosi pista per danza macabra, gioco della campana che a ogni casella serba il segno degli atti precedenti, persino la bestemmia che rivela la sua intima natura ludica.

Si ride: e duole la mascella per la dissennatezza, il massacro totale cui Rezza si sottopone, coinvolgendo il compagno di scena, e vittima sacrificale, Ivan Bellavista, preziosa presenza (de)umanizzata a livello ora animale ora oggettuale.
Si ride, correndo il rischio: il singulto violento della risata esplosa è lacerazione, sguardo sull’abisso, anarchia fisiologica e precipizio inenarrabile nel non sapere. Non se ne può parlare. Si ride, e il rischio è fraintendere il riso, riconvertirlo in moneta sociale, equivocando il rigore estremo del lavoro di Rezza: “Il comico è cianuro. Si libera nel corpo del tragico, lo cadaverizza e lo sfinisce in ghigno sospeso”, parola di Carmelo Bene. Tutto il resto è, o rischia di essere, recensione deteriore, ossia opinionismo e chiacchiereccio. Si ride, ma si dovrebbe svanire.
Igor Vazzaz
05 Maggio 2010

Oggetto recensito:
7 – 14 – 21 – 28, di Antonio Rezza e Flavia Mastrella
Il resto della locandina: Massimo Camilli, assistente alla creazione; Maria Pastore, disegno luci; in scena Ivan Bellavista
Produzione: Teatro 91 – Fondazione Teatro Piemonte Europa - RezzaMastrella
Prossimamente: Rezza porta in tournée tutti i gli spettacoli prodotti dal 1995 a oggi (Pitecus, Io, Fotofinish, Bahamut e quest’ultimo), le date sono aggiornate sul sito www.rezzamastrella.it
Visto: a Firenze, Teatro Puccini, il 20 marzo 2010
Il pubblico: meno maltrattato del solito
Citazione: “Quella che per voi è una serata memorabile, per noi è la norma”
Dvd: Antonio Rezza e Flavia Mastrella, Ottimismo Democratico. 12 cortometraggi in bianco e nero + Il passato è il mio bastone, Roma, Kiwido 2009, 19 euro
giudizio:

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