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giovedì 10 febbraio 2011

A Eleonora Danco serve una regia

(da Giudizio Universale)
Me vojo sarva’ – Nessuno ci guarda è un monologo in romanesco in cui la talentuosa attrice interpreta più voci, amare e comiche, di outsider afflitti dalla vita


Scena spoglia, cruda nella desolata laconicità di fondali neri, come reduce dallo smontaggio d’un dopo spettacolo. Le tavole del palco sembrano ancor più consumate, colte quasi alla sprovvista dal calare dell’ombra e dall’irruzione fonica di un James Brown d’annata che, nella brulla nudità del quadro visivo, suona ancor più ruvido e dolente. Una figura femminile, snella ed elastica, disegna orbite circolari intorno al tenue fascio luminoso proiettato dall’alto: passi nervosi, estenuati, a mancare il centro, suggerendo l’assenza d’un nucleo, d’un appiglio. È da questo smarrimento, di collocazione e di posizione prima ancora che verbale, è da questa perdita d’asse che Eleonora Danco sviluppa il suo teatro di outsider, “fuori sede” instabili, fragili e disperati. 

Me vojo sarva’ – Nessuno ci guarda è un doppio monologo “a numeri”, pot-pourri di voci, caratteri aggrovigliati alla vita, succhiata e risputata, col sapore dolce–aspro di sangue e umori, amara e comica al contempo. Incarnazione romana e romanesca di fool muliebre, la Danco si sfianca in movimenti convulsi, strappi corporei a tradurre quella lingua sporca, materica e arrogante, che è il dialetto capitolino odierno: non più quello classicizzato da letteratura, teatro o cinema (Belli e Trilussa, Petrolini e Sordi sino a Victor Cavallo e Verdone, per non dir di Pasolini, nume tutelare costantemente evocato), ma quello attuale, sfibrato di ridondanze, nell’incomunicabilità d’un lessico limitato che nel logoramento fisico cerca scampoli di senso ormai intraducibili a parole. Rischio sospeso tra campionamento del reale (di strada, ma pure televisivo) e una ri-creazione poetica che è sempre re-invenzione, artificio insostituibile a dribblare lo scadimento mortifero d’una lingua pubblicitaria, televisiva e ormai insoffribile, quella dei “Totti da réclame”.
L’attrice-autrice si profonde con encomiabile abnegazione nella dimensione sconfortata e franta dei personaggi, il cui idioma vorrebbe essere affiancato, sottolineato e persino amplificato dalle soluzioni sceniche: il moto perpetuo, ora correndo e saltando, ora strisciando e rotolandosi a terra, ora sbattendo la testa su un lato microfonato della scena; la musica afroamericana, compagna incessante non priva d’invadenza; la drammaturgia, ora monologante ora dialogica, interamente affidata al corpo e alla voce della protagonista. Che sia “matta di strada”, coppia in separazione al tavolo di un bar, ragazza che nell’angoscia metropolitana d’un risveglio mattutino sprofonda nella regressione di un flusso di coscienza tra memorie e dolori adolescenziali, Eleonora Danco si butta anima e cuore nell’interpretazione, con sincera intensità.

È un peccato, quindi, che il risultato non sia raggiunto e, al di là degli apprezzamenti raccolti negli ultimi tempi dall’attrice, i limiti non sembrino limitati all’imperfezione accidentale d’una sera. Le soluzioni sceniche, infatti, appaiono a tratti ingenue, semplicistiche, forse mancanti d’una regia autonoma che, occhio estraneo e distanziato, fornisca suggestioni proficue: i movimenti, spesso sforzati, sono sopra le righe, frutti sì d’innegabile sforzo, ma raramente centrati (in consonanza o dissonanza) rispetto al testo. Finiscono per incrementare il rumore, caos non fertile cui pure contribuisce una selezione musicale priva d’inventiva. Le luci, nonostante la puntuale calibrazione che la stessa Danco ama sottolineare, risultano approssimative, carenti di necessità e rigore, a eccezione della torcia elettrica proiettata dalla platea in proscenio, efficace ma non troppo originale. Nelle fasi dialogiche, la recitazione, avvitata in anafore e artifici retorici che solo a tratti offrono spunti notevoli, è monocorde, senza tensione e non adeguata per innervare una drammaturgia sofferente, in coerenza con l’allestimento, d’una mancanza di graffio a incidersi nell’animo dello spettatore. Manca il quid, essenziale ma incomunicabile, dell’opera d’arte riuscita, compiuta, che si stagli al punto di non farsi dimenticare, rendendo urgente la visione, che faccia d’una serata a teatro una vera esperienza.

Resta un’attrice talentuosa, una drammaturga animata da gran zelo e violenta limpidezza, cui servirebbe probabilmente un contraltare dialettico nell’allestimento, una regia esterna, per evitare che la mancanza di centro di questi personaggi afflitti e frenetici si riverberi nella mancanza di centro d’una messinscena che regala più perplessità che certezze.
di Igor Vazzaz

09 Marzo 2010

Oggetto recensito:
Me vojo sarva’ – Nessuno ci guarda, di e con Eleonora Danco
Prossimamente: Milano, Pim Spazio Scenico, 12-15/3; Frascati, 20/3; ulteriori informazioni http://eleonoradanco.wordpress.com/
Visto: a Pontasserchio (Pisa), Teatro Rossini - La Città del Teatro, il 5 marzo 2010
Eleonora Danco:
attrice e autrice, al cinema ha lavorato, tra gli altri, con Nanni Moretti, Michele Placido, Marco Bellocchio, Pupi Avati e Vittorio Gassman, a teatro ha collaborato con Mario Martone e ha vinto vari premi a livello nazionale; è considerata un’artista emergente
Il resto della locandina: musiche scelte da Marco Tecce; MDM, costume; Narda, disegno luci; Claudio Cianfoni, luci e fonica; Flavia Parboni, assistente alla regia
In libreria: con Ero purissima, Minimum Fax, 2009
Non pervenuto: il Jackson Pollock cui sarebbe ispirato Nessuno ci guarda, stream of consciousness prossimo anche ad altre esperienze artistiche senza però aderire e nessuna
Nonostante tutto: la Danco ci è simpatica e speriamo che, raffinando il metodo, possa migliorare
giudizio:

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