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lunedì 21 febbraio 2011

Il resto di Gomorra va a teatro

(da Giudizio Universale)
In Terra Padre, Eugenio Allegri e Neri Marcoré leggono racconti di Saviano precedenti e successivi al romanzo, con cui condividono tematiche e toni. Un testo di denuncia ringhiato e rabbioso, cui poco riescono ad aggiungere attori e regia




Se, negli ultimi mesi, un risultato irritante s’è ottenuto, malgré soi, all’indirizzo di Roberto Saviano, è proprio quello di rendere impossibile, quando non vischioso e contraddittorio, esprimere un qualsiasi giudizio sulla sua persona o la sua opera. E la colpa, questa colpa, non è certo sua, d’uno scrittore che cerca di fare il proprio mestiere, nella non banale posizione di chi è destinato a spaccare in due l’opinione pubblica ogniqualvolta respiri. Con tale sentimento, dunque, ci accingiamo ad assistere a Terra padre, spettacolo che Giorgio Gallione trae dal “materiale narrativo scritto attorno a Gomorra”, volume monstre dell’autore campano che rappresenta, volenti o nolenti, uno dei casi letterari più clamorosi e discussi degli ultimi anni.
Non che l’idea sia del tutto originale, a dire il vero: il peculiare romanzo–saggio di Saviano, impasto di racconto intimo, cronaca iperrealistica e saggio antropologico, è già stato oggetto di varie riduzioni, teatrali e cinematografiche.

F02092010151726.jpgLa luce illumina la scena, una teoria petrosa, parete di roccia che l’andamento irregolare dei contorni minerali rende labirinto dai richiami arabescati. Intorno, un fondale scuro, quasi un cielo nero che le luci punteggeranno di riflessi quasi stellati, in alcuni momenti (salienti?) della recita. Due postazioni, fisse, con rispettivi leggii, da cui compaiono Neri Marcorè ed Eugenio Allegri. Le voci, rigorosamente microfonate, s’alternano nella crestomazia di letture, dando sostanza vocale alla narrazione di Saviano: storie che se non son direttamente calchi da Gomorra, paiono comunque rappresentare materiale per una sorta di sequel del libro o, volendo esser maligni, quel che la Mondadori non ha incluso, all’epoca, nel futuro successo editoriale. Vicende di un’umanità sofferente e compromessa, alle prese con soprusi, criminalità, nefandezze tragicamente ordinarie d’un Meridione, e un’Italia intera, sempre più distratti, indifferenti, egoisti.
Terra padre, dal canto suo, non si presenta come una pura e semplice traduzione scenica del celebre libro, ma come un reading–spettacolo a proposito (anche) dei suoi scritti successivi, appunti narrativi che condividono con Gomorra le tematiche, l’ambientazione e una torrida necessità di racconto, aspetto stilisticamente più forte, a nostro parere, del romanzo.

La denuncia, ringhiata e rabbiosa, ai limiti della disperazione, quasi contrasta con la sonorità piena e rotonda delle due voci misurate, ben portate dagli attori. Non che manchi il pathos: s’avverte, però, un sottile scollamento tra la lingua di Saviano, tutta sangue, lacrime, dolore, e quella dei due dicitori, tornita, a tratti apollinea. Non sarebbe stata idea balzana, forse, proporre due attori napoletani, portatori d’un idioma più vicino a certe intonazioni originali, ma, evidentemente, s’è voluta evitare, non si sa se a ragione, un’ipotetica ridondanza.Alla fine, però, i limiti sono abbastanza evidenti e di natura molteplice: la costruzione complessiva è piuttosto debole, e poco possono fare i due interpreti, ingabbiati in una struttura che pare limitarne le potenzialità. Allo stesso modo, la regia di Gallione è sospesa tra l’impalpabile esteriorità d’una scenografia che non incide, al di là delle inutili enfatizzazioni luminose, e una scelta di fondo che sembra, comunque, destinata a uno scacco inevitabile.

La domanda sorge spontanea: sono davvero necessarie queste operazioni teatrali? O, meglio: quali sono gli scopi reali di allestimenti come questo? Solo rispondendo a tali interrogativi è possibile avanzare analisi compiute. Non avendo certezze in tal senso, possiamo però assumerci la responsabilità critica di affermare che no, certe messinscena non servono: non servono perché non propongono niente di nuovo, o di indimenticabile, dal punto di vista teatrale, cosa che, invece, si dovrebbe chiedere a ogni opera d’arte. Non servono neppure in quanto operazioni politiche, allorquando non ottengono effetti di sorta: finiscono puntualmente per lasciare le cose come stanno, confermando le convinzioni d’un pubblico che già condivide certe posizioni, lasciando indifferente, invece, chi non è d’accordo e, con tutta probabilità, non si prende neppure la briga di assistere alle recite. Non servono, infine, perché da uno spettacolo teatrale, specie se, implicitamente o meno, di natura politica, si devono pretendere dubbi, domande, e non certo la terribile e insidiosa sensazione di “essere dalla parte giusta”.

09 Dicembre 2010

Oggetto recensito:
TERRA PADRE, reading-spettacolo DAi racconti di ROBERTO SAVIANO, REGIA DI GIORGIO GALLIONE
Prossimamente in scena: 9 dicembre Teatro Fabbri, Vignola (Mo), 10 dicembre Teatro Comunale, Carpi (Mo), 11-12 dicembre Arena del Sole, Bologna; per ulteriori informazioni riguardo la tournée vedere il sito del Teatro dell’Archivolto di Genova
Gomorra oltre la pagina/teatro: nel 2007, Saviano ne trae, con Mario Gilardi, un copione per uno spettacolo, acerbo ma apprezzabile, realizzato dallo Stabile di Napoli; non si battevano le strade più semplici, quelle della narrazione o della lettura, preferendo un teatro drammatizzato e corale
Gomorra oltre la pagina/cinema: nel 2008, Matteo Garrone, sempre di concerto con l’autore, ne ricava un film pregevole che, al di là della candidatura all’Oscar (fenomeno che solitamente pertiene più al potere distributivo che al valore estetico), ebbe l’effetto di far gridare, in concomitanza con Il Divo di Sorrentino, con cui condivideva l’attore Toni Servillo, a un’utopistica e ben presto smentita rinascita del grande cinema italiano
Saviano oltre la pagina: non solo le recenti trasmissioni al fianco di Fazio, ma, nel 2010, anche protagonista di un a solo scenico intitolato La bellezza e l’inferno, ispirato al suo omonimo libro, per la regia di Serena Sinigaglia e la produzione del Piccolo Teatro di Milano
giudizio:

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