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a fondo pagina la maschera di ricerca per gli spettacoli

martedì 1 aprile 2008

Il pubblico in scena

(da Giudizio Universale, n. 32, aprile 2008, p. 81)
In Madre coraggio di Brecht (regia firmata da Cristina Pezzoli) la quarta parete cade: gli spettatori sono coinvolti nell’azione con un forte impatto emotivo. Il capolavoro epico attualizzato, con Isa Danieli e una compagnia che mescola attori esperti a talentuosi prospetti

Un corpo fragile, straziato: si piega, col peso di una morte dolorosa e incomprensibile. Silenzio estraneo e tombale di platea semivuota. La dita della mia mano sinistra sfiorano con pudore le costole di questa ragazza sconosciuta. Le batte il cuore: le pulsazioni impazzite sono scosse per le mie falangi imbarazzate da un contatto inatteso e fraterno. È un corpo esanime, trafitto dal fucile che ci ha tenuto sotto tiro e ha esploso i colpi.
Mi chiedo se anch’io sia morto, e mi difendo in un sorriso: i personaggi di un dramma non possono
uccidere gli spettatori. C’è la quarta parete, pellicola metaforica invisibile e invalicabile, schermo a separar illusione e realtà. Infrangerla è paradosso, trucco da guitto cabarettaro o infrazione d’avanguardia in ritardo.
Non può far effetto. Non ora, non qui.
Siamo colti, smaliziati e scafati, ne abbiamo viste accadere di cose in scena, usi a spettacoli d’ogni sorta, consci dei meccanismi della teatralità.

Eppure qualcosa sfugge.
Vuoto allo stomaco, dolore incompiuto. E quegli occhi magici e maledetti d’una madre che implora per la restituzione del corpo di una figlia.
Eccolo, il critico, il recensore, la cui consueta sicumera fa solo ghignare di fronte all’impasse eterna di questo momento che si rinnova nel ricordo. Tra le braccia, fragile come una foglia caduta, Kattrin, la muta figlia di Anna Fierling, Madre Coraggio. È la matrona brechtiana che si rivolge a me da quella “linea di confine” per riaverne le spoglie. Il dramma, per compiersi, ha bisogno di quel corpo.

Esito. Dove finisce lo spettacolo e ha inizio la realtà?
Lo spettatore che è in me è terrorizzato: teatro significa vedere le cose che sono nascoste, rapportarsi alla morte, e gli occhi di Isa Danieli vengono da una dimensione liminare, un altrove inconcepibile. Non possono fissarmi senza annientarmi.
Al contempo, la persona che è in me, l’uomo, sente il bisogno di agire, di prendere parte, in barba alle dissertazioni su vero e falso, maschera e volto.
Devo agire. Mi alzo. Il corpo di Kattrin è una bambola di pezza, lieve e delicata, come la sua pelle dal profumo dolce, inasprito dalla fatica sudata di tre ore di spettacolo.
Supero le poltrone, guadagno la corsia. Depongo il cadavere ancora caldo sul legno del proscenio. Mutti Courage mi ringrazia, ed è un cortocircuito, intellettuale ed emotivo.
Il dramma può proseguire e terminare, ora che il corpo straziato può essere
pianto, celebrato e seppellito. Novello Antigone, compiuta la missione me ne resto lì, immoto, ad ammirare Isa Danieli che finalmente chiude la storia.
Ecco tutti i personaggi, giovani e vecchi, comparse e protagonisti, a urlare verso la platea, fronteggiare la realtà, nella babele di accenti, italiani, esteuropei, orientali, che Cristina Pezzoli ha voluto mescolare nella propria versione del capolavoro brechtiano.

L’impatto è fortissimo, al di là della lungaggine macchinosa della prima parte, al di là dei prevedibili intoppi d’una prova filata, al di là di scelte discutibili, come l’attualizzazione delle Song originali: da un lato, fare archeologia di Brecht sarebbe un controsenso e la regista lo sa bene, dall’altro, il bagno d’attualità renderebbe necessaria una pari dimensione estetica che le bellissime musiche originali di Paul Dessau non consentono con facilità.

È l’emozione che vince su tutto: sulla bella scenografia irta e inclinata verso il pubblico di Bruno Buonincontri, dai colori sabbiosi e desolati, sulla recitazione d’una compagnia che unisce
mostri sacri a giovani attori di ottime speranze.
Finisce la prova, Isa Danieli mi ringrazia, con la gentilezza distante degli artisti che hanno concluso il proprio lavoro. Cristina Pezzoli, tra una raccomandazione e l’altra a tecnici e attori,
mi sorride.
Kattrin (Xenia Bevitori), invece, se n’è andata.
Vorrei cercarla, dirle quale sconvolgimento sia riuscita a provocarmi, ma so che sarebbe superfluo, come parlare dopo un amplesso. È il teatro, arte bistrattata dai medesimi teatranti che
troppo spesso ne ignorano potenzialità emotive e intellettuali, ma che, quando tocca l’animo, lo fa con la violenza inusitata d’una marchiatura a fuoco.

Visto a Lucca, Teatro del Giglio, 23 gennaio 2008.

Spettacolo
Madre Coraggio
di Bertolt Brecht
elaborazione di Antonio Tarantino
regia: Cristina Pezzoli
con Isa Danieli, Alarico Salaroli, Marco Zannoni, Lello Serao, Arianna
Scommegna, Carlo Caracciolo, Matteo Cremon, Antonio Fabbri, Tiziano Ferrari, Vesna Hrovatin, Paolo Li Volsi, Fabio Mascagni, Aurora Peres, Sergio Raimondi, Shi Yang, Luigi Tabita, Xenia Bevitori
scene: Bruno Buonincontri
costumi: Gianluca Falaschi
musiche: Pasquale Scialò
luci: Cesare Accetta
produzione: Gli Ipocriti
Giudizio: 3 soli
Scheda
> Il privilegio del critico: assistere alle prove
> Non si fa: usare la prima persona in una recensione
> Però: una tale emozione non deve essere taciuta
> Quindi: licenza “critica”, sperando che il lettore capisca che abbiamo
comunque parlato dello spettacolo
> Il giudizio: due soli alla messinscena, quattro alla forza del finale

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