(da loschermo.it)PISTOIA – Nella suggestiva cornice del Teatro Bolognini, all’interno della rassegna In verso veritas, abbiamo visto Giulio Casale, astro nascente del teatrocanzone italano e acclamato interprete di Polli d’allevamento, indimenticabile spettacolo (e incisione) di Giorgio Gaber
Lo ribadiamo a scanso d’equivoci: mettere in scena Gaber si può, si potrebbe, non è di per sé lesa maestà. Lo dicevamo di fronte al deludente Un certo signor G con Neri Marcorè, ce lo ripetiamo a mo’ di mantra nel recarci fiduciosi al cospetto di Giulio Casale, di cui si parla un gran bene e la cui operazione, allestire non un the best of bensì uno spettacolo intero, un’opera conchiusa, del cantattore d’origine istriana, è iniziativa interessante e non da bocciare a priori.
È pure bravo, Casale: voce potente, bella, mai a disagio con l’intonazione. Certo, meglio il canto della recitazione, non aiutato da un’amplificazione che impasta il timbro del parlato, mentre invece con Gaber (basta ascoltarne i dischi) il problema non sussisteva.
A peggiorare il tutto, c’è, come se non bastasse, il fatto che Casale è infinitamente più debole di Gaber, non ne ha la forza evocativa, la potenza. Lo spettacolo, uno dei migliori della collaborazione tra il cantante-attore e Sergio Luporini, in questa riproposizione-calco non trascina, non fa incazzare, non devasta. E, data la situazione, non ha nemmeno il buongusto di sottrarsi al confronto col modello. Confronto sia, dunque, e, dato che chi scrive, il disco Polli d’allevamento l’ha frustato, ascoltato, suonato e cantato, non si può certo dire che l’operazione di Casale possa reclamare un qualsiasi senso di per sé.
Che significato ha riproporre un’opera senza avere il coraggio, la faccia tosta, la bravura di reinterpretarlo? Di piegarlo alle proprie esigenze, di sondarne i sensi nascosti, tra le pieghe del testo, di renderlo vivo. Quello che Casale fa, con una certa bravura nel canto, è operazione sterile, poco rispettosa e dell’opera e dei suoi autori. Il teatro, comunque lo si voglia interpretare, è arte politica, parla qui e ora, sia che s’insceni Eschilo o Dario Fo. Allestire uno degli spettacoli più furiosi, complessi, difficili politicamente di Gaber non può consentire la monumentificazione, l’archeologia, la riproposizione inerte (non tanto del testo, quanto dell’interpretazione) di ciò che veniva fatto trent’anni prima (Polli d'allevamento esordisce infatti nell’ottobre 1978).Anche perché, e qui sta il punto più importante, Gaber e Luporini scrivevano al presente, del presente, intervenivano e sviluppavano di anno in anno una propria poetica visione della realtà che, altro aspetto fondamentale, mai era consolatoria, rassicurante. Gaber è stato il Grillo Parlante di un’inquietudine interna alla sinistra italiana, la sua spia, il suo tarlo continuo e poco convinto, il Bastian contrario che, alla lunga, ha inchiodato i veri conformisti, quelli che duri e puri all’epoca fischiavano Quando è moda è moda e adesso prendono, o hanno preso, stipendi e regalie da potentati vari, testate e partiti.
Non per rispetto morale, ma estetico, che è l’unico modo di essere morali.
Chi ha qualcosa da dire, lo dica, chi ne è privo, si dedichi una volta per tutte ad altro.
Visto a Pistoia, Teatro Bolognini, il 24 febbraio 2008.
Polli d’allevamento
di Giorgio Gaber e Sandro Luporini
con Giulio Casale
musiche originali arrangiate da Franco Battiato e Giusto Pio
produzione: Teatro Filodrammatici - Fondazione Giorgio Gaber



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