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lunedì 4 febbraio 2008

Anatomia della solitudine per un insolito Fassbinder teatrale

(da loschermo.it)
SCANDICCI (Firenze) - La versione scenica del film di Fassbinder Un anno con 13 lune, allestita da Egumteatro e presentata al Teatro Studio in questi giorni, rappresenta una fedele trasposizione (per quanto la differenza dei mezzi lo possa consentire) dell’opera originale, nel tentativo di esprimere la dimensione di totale abbandono che va ben al di là della condizione liminare di un protagonista dalla sessualità indefinita

Si presta a possibili fraintendimenti il film che Reiner Werner Fassbinder volle dedicare, girandolo in poco più di tre settimane e curandone la fotografia, agli ultimi cinque giorni dell’amico e amante Armin Meyer. Questi era morto suicida nella solitudine d’un abbandono a seguito di una complicata vicenda sentimentale e sessuale. La trasposizione scenica della pellicole curata da Virginio Liberti e Annalisa Bianco rispetta la scansione originale, ponendosi quasi nella condizione di versione in senso etimologico. Pure da sottolineare è come gli allestitori abbiano scelto non un testo drammaturgico, tra i tanti prodotti dall’artista teutonico, ma di dedicarsi al rifacimento di un'opera cinematografica senza corrispettivi teatrali nel percorso fassbinderiano. Certo che tra due forme espressive tanto apparentemente simili quanto, nella realtà, antipodiche quali teatro e cinema, le differenze si fanno sentire eccome, il che, di per sé, non è né male né bene, ma un dato di fatto.

Il cinema è un medium e il teatro no: lo schermo si pone come termine medio tra la realtà selezionata dalla cinepresa (ergo dal regista) e quella dello spettatore, là dove il teatro è la realtà oggettuale dell’opera d’arte scenica. Inoltre, la prospettiva visiva del cinema è legata necessariamente alla macchina da presa (il punto di vista coincide con essa, al di là della posizione in sala dello spettatore), mentre in teatro a ogni spettatore corrisponde un differente punto di vista fisico (è ovvio, infatti, che dal punto di vista della soggettività psicologica del fruitore le situazioni sono, invece, simili). Infine, la dimensione del film è quella del racconto, della narrazione, tant’è che in termini critico-analitici la settima arte è spesso legata al concetto di romanzo, mentre il teatro, in quanto forma che comprende più codici (visivo, sonoro, gestuale, verbale, in ciò simile al cinema) in presenza di più punti di vista (ogni spettatore è una "macchina da presa" a sé stante), rappresenta una disciplina legata all’effimero dello spettacolo che si disfa nel momento stesso in cui ha luogo. Una trasposizione scenica di una pellicola rappresenta sempre, di conseguenza, un’ottima occasione per riflettere sugli aspetti espressivi e gli scarti tra forme artistiche differenti e solo in apparenza similari.

Un anno con 13 lune è uno spettacolo contraddittorio: a fronte di un’ottima prova d’attore da parte di Michele Di Mauro, l’allestimento è invece un continuo chiaroscuro che alterna momenti interessanti ad altri di palpabile debolezza. Passino l’alternanza di tragico e comico, la dimensione melodrammatica perennemente in bilico grottesco che è cifra esemplare della poetica fassbinderiana: niente è definito, non solo sessualmente, ma moralmente, umanamente. A partire da Elvira/Erwin, protagonista evirato divenuto donna per amore dopo aver lasciato, pur consensualmente e senza strappi apparenti, moglie, figlia e precedente impiego da macellaio, lo spettacolo verte sul tema dell’indefinizione, sessuale in primis, ma soprattutto morale, esistenziale. Non è un caso che la città d'ambientazione del dramma, che nella versione scenica si svolge in un ampio e sciatto interno attorniato da appendiabiti, abitato da sedie vuote, armadietti rugginosi, suppellettili malandate e irregolare pavimentazione di pacchiani tappeti da due soldi, sia Francoforte, patria di Arthur Schopenhauer, autore feticcio e ispiratore neppure troppo nascosto della pellicola di Fassbinder.

Nella sequenze che porteranno al suicidio Elvira/Erwin, i personaggi si alternano come in un teatrino grottesco di apparenze ora tiranniche ora desolanti in cui si ripercorre la vicenda dell’ambigua protagonista: prima macellaio, in adorazione della morte e del sangue nell’atto sovrano della mattanza bovina (di cui sono proiettate immagini iperrealistiche nella parte alta della scenografia), poi innamorato pazzo di un corrotto arrampicatore sociale, infine puttana per amore dell’amante attore fallito e che trova nell’amicizia di una sgualdrina una mimina consolazione.
"Il mondo coincide col soggetto" è il refrain implicito che s’impone alla stregua di vettore filosofico dello spettacolo: la rappresentazione come frutto della volontà, l’annullamento come trionfo di quest’ultima e non sua apparente negazione. In tutto ciò, assoli attorici, balletti improbabili (d’effetto quello compiuto con maschere espressioniste calate sui volti degli interpreti), dialoghi che rimarcano la violenza implicita e scarnificante di qualsiasi rapporto umano. Elvira è abbandonata, si sente tale: pur sciorinando un’apparente ragionevolezza, circostanziata nel fronteggiare i rifiuti degli altri, si vota allo scacco estremo, all’annullamento completo, la morte.

È un peccato che a Michele Di Mauro, notevole nella recitazione polifonica che alterna malizia, debolezza, stupidità e complessità psicologica non prive d'inserzioni grottesche, non corrisponda una compagnia in grado di reggere il confronto con una tale interpretazione e di sostenere compiutamente uno spettacolo ad alto coefficiente di difficoltà come la versione di un film peraltro riuscito. A poco valgono le scelte delle videoproiezioni, così come alcune opzioni musicali che, di fatto, risultano neutre rispetto alla riuscita dell’operazione e che ricalcano spesso la pellicola originaria.

L’equivoco potenziale di cui si è detto all'inizio: la triste storia di Elvira non è tale per la condizione di rifiuto, umano o antropologico, rappresentato da un transessuale, bensì la carta di tornasole di ogni rapporto che un uomo, il soggetto, intesse con il mondo, nell’endemica incapacità di frattura della separazione o di possibilità comunicativa. In questo senso, Fassbinder sfrutta un caso estremo, chiamando in causa anche Kafka, per illustrare una dinamica tutt’altro che "estrema", ma, anzi, ordinaria, comune e proprio per questo ancora più terribile e sconsolante.

Visto a Scandicci, Teatro Studio, il 3 febbraio 2008.

Spettacolo
Un anno con 13 lune
di Rainer Werner Fassbinder
un progetto di Michele Di Mauro e Egumteatro
con Michele Di Mauro, Gisella Bein, Tatiana Lepore, Simona Nasi, Pasquale Buonarota, Massimo Giovara, Riccardo Lombardo
regia: Annalisa Bianco e Virginio Liberti
produzione: Fondazione Teatro Piemonte Europa/Egumteatro in collaborazione con Festival delle Colline Torinesi con il contributo della Regione Toscana - Settore Spettacolo

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