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lunedì 10 dicembre 2007

Marcorè o Gaber: a chi gli applausi?

(da loschermo.it)
LUCCA - Neri Marcorè ha presentato in questi giorni (martedì 4 al Politeama di Viareggio, sabato 8 e domenica 9 al Puccini di Firenze) Un certo Signor G , tratto dalle opere di Giorgo Gaber e Sandro Luporini. Lo spettacolo, diretto da Giorgio Gallione, rappresenta una carrellata quasi antologica di monologhi e canzoni, sondandone la resistente attualità, tra memoria del passato e sguardo sul futuro. Un esperimento, però, riuscito solo in parte

Compiere un tributo, a teatro ancor più che nella musica leggera, significa elevare l'oggetto rappresentato a un rango "universale": Shakespeare viene giustamente messo in scena benché il Bardo sia trapassato da quasi quattro secoli e lo stesso accade con Molière, Pirandello, Ibsen e Sofocle, tanto per pescare qua e là nella nostra storia scenica. La natura stessa del teatro, che non è un medium come cinema e televisione bensì un "oggetto" in sé, rende lo spettacolo, ossia l'opera d'arte vera e propria di questa disciplina, come qualcosa di caduco, fittizio, che s'esaurisce nell'attimo stesso del farsi. Un quadro è un'opera a suo modo "eterna" (fatta salva la manutenzione di tele e tinte), una scultura idem, così gli edifici architettonici (terremoti a parte) e anche i libri: uno spettacolo teatrale, invece, svanisce all'apparire, lasciando solo tracce altre da sé. Foto, testi, commenti, recensioni sono soltanto documenti che mai coincidono con lo spettacolo, ricostruibile soltanto con un procedimento "archeologico", sommando testimonianze e usando l'immaginazione.

Riprendere il repertorio di Giorgio Gaber, dunque, da un lato significa riconoscere in esso una forte natura teatrale, in grado di reggere al tempo e, soprattutto, al cambio d'interprete. Essendo Gaber un attautore, oltre che cantante, cantautore e quant'altro, il dilemma sulla sua opera è sempre stato se essa non fosse strettamente e indissolubilmente legata al suo interprete, al suo volto indimenticabile, ai suoi tempi comici acuti e densi di senso. D'altro canto viviamo un'epoca dalla vocazione industriale e commerciale, e sarebbe da ingenui negare che certi nomi defunti, su tutti proprio Gaber e De André, siano particolarmente appetibili dal mercato, pronto ad accoglierne dischi più o meno inediti e tributi d'ogni sorta a scadenze pressoché fisse.

L'operazione svolta da Neri Marcorè sotto la regia di Gallione, quindi, dev'essere analizzata sotto un duplice profilo: come spettacolo in sé, ossia come allestimento dal titolo Un certo Signor G e al contempo come performance che intesse con il non dimenticato originale tutta una serie di rimandi e inevitabili confronti. Gaber ha lasciato numerosi dischi, svariati filmati, e quindi il minimo che gli stessi Marcorè e Gallione possano aspettarsi è un confronto con il modello principale.

Lo spettacolo, dunque: non è una ripresa testuale d'un particolare allestimento gaberiano, quanto, piuttosto, una sorta d'antologia dell'artista. Se l'incipit coincide con il brano Il Signor G nasce (1970), i pezzi successivi sono tratti liberamente da tutta la produzione Gaber-Luporini. E questa è una prima grande differenza rispetto al modello: con l'eccezione di qualche best of come Il teatro-canzone (a Lucca nel 1992), Gaber e Luporini allestivano spettacoli originali, con strutture "forti", con un inizio e una fine. Polli d'allevamento (1978) era una messa in scena in tutto differente dal precedente Libertà obbligatoria (1976) o da Far finta di essere sani (1973): poteva accadere che qualche brano fosse ripreso, ma il senso era mettere in scena un'opera che potesse reggersi sulle proprie gambe. Spesso gli snodi scenici erano per niene scontati, talvolta controversi, non d'immediata leggibilità: pensiamo, per esempio, a certi passaggi di Anni affollati (1981), ma anche ad alcuni momenti degli spettacoli citati poco sopra.

Un certo signor G sembra invece voler rappresentare una specie di bonaria crestomazia del teatro-canzone: c'è, a cercarla, la storia di quest'uomo, spaesato, dubbioso, cattivo e contraddittorio che rappresenta(va) l'altra faccia di Giorgio Gaber. Un personaggio "piccolo" alle prese con la confusione attuale (come d'allora) di quella "nave" allo sbaraglio che è la nostra società, con le sue mode, i suoi ideali irraggiungibili, le sue chimere. Senza ancore di salvataggio, nel riflusso come nell'impegno, tanto meno nell'amore: il tarlo di Gaber-Luporini mina ogni certezza, ogni conclusione, iniettandovi il dubbio beffardo, l'insinuazione che tutto ciò che noi scambiamo per bontà o altruismo non sia che una forma rovesciata e infida di egoismo spudorato. Questa la costruzione del racconto che Marcorè esplicita recitando e cantando, accompagnato da due pianiste all'interno di una strana casa le cui porte e finestre sono chiuse da deboli membrane di carta stampata destinata a esser ridotta a brandelli. Il finale, con Se ci fosse un uomo (1999), sembra tenere aperta la questione che Gaber aveva posto senza, ovviamente, risolverla. Preso come allestimento a sé, dunque, Un certo signor G mostra qualche debolezza, sebbene l'attore riesca ugualmente a convincere, seppur non pienamente.

La questione si complica non poco al momento d'operare un confronto col modello originale: dato che certe operazioni si fanno anche "cavalcando" il nome dell'artista rappresentato, è inevitabile sottrarsi alla comparazione. Marcorè ha voce pulita, a tratti ben impostata, ma difetta di profondità nell'interpretare quello che Gaber riusciva a rendere polisemantico, densamente contraddittorio. Più a proprio agio con i monologhi che con le canzoni, Marcorè è totalmente privo della maschera di Gaber, quel volto corvino da Pulcinella incorniciato dalle ciglia discendenti, quasi a simulare perennemente un pianto cui il sorriso, bello e beffardo, faceva da ironico contraltare. Marcorè ha invece un'aria pulitina, da impiegato comunale, una specie di mister Bean irresistibile in certi andamenti marionettistici, ma carente di quella profondità da filosofo ignorante che era la cifra arrabbiata e principale del defunto cantautore.

Il confronto, se regge forse sui monologhi, è una Caporetto appena si tocca la musica: Gaber era prima di tutto un cantante, un fior di cantante. Ascoltarlo dal vivo equivaleva a sentire esibizioni perfette, sembravano delle registrazioni. Non per la "freddezza", anzi (abbiamo visto Gaber far cantare in coro "i borghesi son tutti coglioni" persino alla platea del Giglio, nel '92), ma per l'incredibile preparazione vocale. Marcorè, invece, non solo stona (mal di poco) ma non sa accompagnarsi con la chitarra tenendo il tempo con precisione: dagli arpeggi, quindi, passa al plettro, con risultati (specie nel finale) degni di una schitarrata da falò estivo in spiaggia.

E il pubblico, ci si chiederà? Domanda oziosa. Come ormai accade sempre, il pubblico applaude. In questo caso, non si capisce chi, se l'attore vivente in scena o l'artista defunto che gli ha regalato parole e note. Purtroppo, l'assioma odierno pare il seguente: quello che le platee vogliono è entertainment, bramano non conoscere ma riconoscere. Bastano quindi un volto noto e "rispettabile" (Marcorè è attore bravo e certo non inviso al pubblico di sinistra), un repertorio "sacralizzato" e dalla qualità e dal mercato (Gaber e De André, loro malgrado, sono anche questo) e il gioco è fatto. I tributi, quelli veri, studiati, sudati, pensati, sono altri, ma chi se ne accorge più?

Il programma dei Teatri della Versilia prosegue martedì 11 a Pietrasanta con Otello di Shakespeare interpretato da Sebastiano Lo Monaco, mentre per gli amanti di Gaber segnaliamo al Teatro Jenco di Viareggio, il prossimo 17 gennaio, Giorgio Casale che si cimenterà in Polli d'allevamento.
La stagione del Puccini , all'insegna della comicità "intelligente", continua con uno spettacolo davvero imperdibile, Sei brillanti del favoloso Paolo Poli. L'abbiamo visto nella passata stagione e ci sentiamo di raccomandarlo a tutti i costi: dal 12 al 23 dicembre.

Visto a Firenze, Teatro Puccini, 8 dicembre 2007.

Spettacolo
Un certo signor G
dall'opera di Giorgio Gaber e Sandro Luporini
con Neri Marcorè
al pianoforte: Vicky Schaetzinger e Gloria Clemente
elaborazione musicale: Paolo Silvestri
scene e costumi: Guido Fiorato
luci: Aldo Mantovani
regia: Giorgio Gallione
Produzione: Teatro dell’Archivolto

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