(da loschermo.it)
LUCCA - Alessandro Bertolucci ha presentato presso il teatro di San Girolamo un monologo noir d’ispirazione fumettistica. Tra fughe e flashback, la confessione intima di un personaggio in bilico tra variabili calcolate e accadimenti imprevedibili.
È con una certa curiosità che abbiamo assistito a Biondo 901, allestimento che Alessandro Bertolucci s’è cucito addosso, da regista e interprete unico, basato sul testo d’ispirazione milleriana di M/Merisi, nome d'arte di Alessandro Zannoni. La curiosità era giustificata sia dal gran parlare circa il "ritorno" a casa dell’attore lucchese sia dalle presentazioni che ne erano conseguite e che hanno contribuito a riempire lo spazio scenico.
LUCCA - Alessandro Bertolucci ha presentato presso il teatro di San Girolamo un monologo noir d’ispirazione fumettistica. Tra fughe e flashback, la confessione intima di un personaggio in bilico tra variabili calcolate e accadimenti imprevedibili.
È con una certa curiosità che abbiamo assistito a Biondo 901, allestimento che Alessandro Bertolucci s’è cucito addosso, da regista e interprete unico, basato sul testo d’ispirazione milleriana di M/Merisi, nome d'arte di Alessandro Zannoni. La curiosità era giustificata sia dal gran parlare circa il "ritorno" a casa dell’attore lucchese sia dalle presentazioni che ne erano conseguite e che hanno contribuito a riempire lo spazio scenico.
Lo spettacolo ha inizio con la voce fuori campo del protagonista, amplificata da un sistema microfonico: le parole, sconnesse, affaticate, frante, narrano di una fuga misteriosa, disperata, cui fanno da supporto una sequenza di diapositive proiettate sullo schermo collocato sul fondo del palscoscenico. Non si sa chi sia a parlare, non si capisce quale sia esattamente la situazione, tutto è avvolto da un alone misterioso, riverberato dalle tonalità chiaroscure della sequenza a cura, come il resto della scenografia, di Beatrice Meoni.
La voce parla in prima persona e, lentamente, affiorano le prime informazioni, distillate in un progressivo svelamento. Il racconto s’interrompe: occorre partire dall’inizio della storia.
Luce. Il flashback. L’attore entra in una scena in cui due sedie da parrucchiere e altri ammennicoli all’uopo suggeriscono l’ambientazione. Giordano, questo il nome del personaggio, parla direttamente al pubblico, celia sui propri inciampi discorsivi, in un rapporto cosciente con quel diaframma superato e insuperabile che è la quarta parete.
Si racconta: uomo ordinario, parrucchiere per signora, single, vita normale cui contribuiscono saltuarie tresche con qualche cliente ben disposta. Sino a che non arriva, nel racconto, lei, la ragazza russa dai capelli Biondo 901 (il nome preciso di una tonalità di colore), misteriosa e affascinante che allaccia col protagonista una storia a metà tra il thriller psicologico moderno e il noir. La situazione, come prevedibile, precipita, riallacciandosi all’inseguimento armato d’inizio spettacolo per poi trovare una conclusione quasi beffarda che, per gli amanti delle trame e delle sorprese, non staremo qui a svelare. Giordano, che dalla vita desume regole ("Primo: non scopare con le clienti"), indicazioni, in una prospettiva scientifica dell’esistenza, viene fregato dal caso, da una delle tante, infinite variabili che, pur avendo considerate, non è possibile scongiurare.
Luce. Il flashback. L’attore entra in una scena in cui due sedie da parrucchiere e altri ammennicoli all’uopo suggeriscono l’ambientazione. Giordano, questo il nome del personaggio, parla direttamente al pubblico, celia sui propri inciampi discorsivi, in un rapporto cosciente con quel diaframma superato e insuperabile che è la quarta parete.
Si racconta: uomo ordinario, parrucchiere per signora, single, vita normale cui contribuiscono saltuarie tresche con qualche cliente ben disposta. Sino a che non arriva, nel racconto, lei, la ragazza russa dai capelli Biondo 901 (il nome preciso di una tonalità di colore), misteriosa e affascinante che allaccia col protagonista una storia a metà tra il thriller psicologico moderno e il noir. La situazione, come prevedibile, precipita, riallacciandosi all’inseguimento armato d’inizio spettacolo per poi trovare una conclusione quasi beffarda che, per gli amanti delle trame e delle sorprese, non staremo qui a svelare. Giordano, che dalla vita desume regole ("Primo: non scopare con le clienti"), indicazioni, in una prospettiva scientifica dell’esistenza, viene fregato dal caso, da una delle tante, infinite variabili che, pur avendo considerate, non è possibile scongiurare.
Il lavoro offre però il fianco a numerose osservazioni critiche, a partire da un testo a tratti incoerente, che non mantiene le promesse fumettistiche esplicitate dagli stessi allestitori, restando di molto lontano dalla profondità dark delle storie di Frank Miller. La vicenda di Giordano sembra molto più vicina a certi racconti minimi e minimalisti, senza possedere la stilla perturbante delle short novel di Carver, tanto per intenderci. Il teatro, e l’arte in genere, necessitano di un’urgenza intima, una necessità interna alle opere che, in questo caso, si fatica a trovare nella vicenda di un barbiere viareggino (il problema non riguarda né il barbiere né la sua provenienza…).
Per contro, recitazione e scelte registiche non sembrano risolvere i problemi portati in dote dal testo: Bertolucci pare non aver deciso cosa fare di questo personaggio, sospeso a metà tra un comico accennato e velleità fuori portata. Chiariamo: lo scopo, ci sembra, dovrebbe essere il portare in scena una vicenda veloce e feroce, in linea con certo cinema e certa letteratura contemporanei, sullo stile del Fightclub peraltro citato dallo stesso Giordano. In realtà, il risultato è un altro e, di certo, non quello desiderato, per cui s’assiste a un racconto caratterizzato da tempi talvolta involontariamente cabarettistici che fiaccano non poco la forza intrinseca di un monologo in cui un personaggio si consegna in pasto al pubblico. Inoltre, la tecnologia, lungi dall’essere nemica del teatro, dovrebbe essere però sempre giustificata dalle esigenze della messinscena, appropriata al contesto. Sovrapporre immagini o, peggio, scritte proiettate nel corso del monologo finisce in più d’un caso per essere aggiunta del tutto inutile, sottolineatura che tradisce una certa ingenuità. Se di una soluzione si può far a meno, allora significa che non dev’essere messa in atto.
L’impressione generale risulta sghemba, Biondo 901 sembra uno spettacolo bisognoso d'una profonda riflessione per poter migliorare e crescere, magari aiutato anche da una migliore gestione dell’impianto fonico, giacché la voce amplificata di Bertolucci innescava risonanze indesiderate che compromettevano l’intellegibilità del testo già a metà platea.
Per contro, recitazione e scelte registiche non sembrano risolvere i problemi portati in dote dal testo: Bertolucci pare non aver deciso cosa fare di questo personaggio, sospeso a metà tra un comico accennato e velleità fuori portata. Chiariamo: lo scopo, ci sembra, dovrebbe essere il portare in scena una vicenda veloce e feroce, in linea con certo cinema e certa letteratura contemporanei, sullo stile del Fightclub peraltro citato dallo stesso Giordano. In realtà, il risultato è un altro e, di certo, non quello desiderato, per cui s’assiste a un racconto caratterizzato da tempi talvolta involontariamente cabarettistici che fiaccano non poco la forza intrinseca di un monologo in cui un personaggio si consegna in pasto al pubblico. Inoltre, la tecnologia, lungi dall’essere nemica del teatro, dovrebbe essere però sempre giustificata dalle esigenze della messinscena, appropriata al contesto. Sovrapporre immagini o, peggio, scritte proiettate nel corso del monologo finisce in più d’un caso per essere aggiunta del tutto inutile, sottolineatura che tradisce una certa ingenuità. Se di una soluzione si può far a meno, allora significa che non dev’essere messa in atto.
L’impressione generale risulta sghemba, Biondo 901 sembra uno spettacolo bisognoso d'una profonda riflessione per poter migliorare e crescere, magari aiutato anche da una migliore gestione dell’impianto fonico, giacché la voce amplificata di Bertolucci innescava risonanze indesiderate che compromettevano l’intellegibilità del testo già a metà platea.
Visto a Lucca, teatro San Girolamo, 16 dicembre 2007.
Spettacolo
Biondo 901
dal romanzo omonimo di Alessandro Zannoni
con Alessandro Bertolucci
scene: Beatrice Meoni
luci: Alessandro Bianchi
audio: Stefano Betti
regia: Alessandro Bertolucci
Produzione e organizzazione - Experia associazione culturale
Biondo 901
dal romanzo omonimo di Alessandro Zannoni
con Alessandro Bertolucci
scene: Beatrice Meoni
luci: Alessandro Bianchi
audio: Stefano Betti
regia: Alessandro Bertolucci
Produzione e organizzazione - Experia associazione culturale
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