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domenica 11 novembre 2007

Il Decamerone leggero ma non troppo di Ugo Chiti

(da teatro.org)
FIRENZE - Decamerone, amori e sghignazzi, nuovo allestimento di Arca Azzurra Teatro , ha iniziato la tournée invernale sul palco del Teatro di Rifredi . In scena sino al 17 novembre

Non è esattamente un debutto quello cui abbiamo assistito al suggestivo Teatro di Rifredi, ormai vero e proprio luogo storico, e vivo, del panorama scenico fiorentino e toscano tout court: Decamerone, amori e sghignazzi, infatti, era già andato in scena d'estate, a Mantova e a Radicondoli (Siena). Nonostante ciò, l’aria respirata a Rifredi è quella dell’esordio, perché lo spettacolo si ripresenta arricchito, rivisto e lo schiudersi del sipario sancisce la vera conclusione del periodo di prove e l’inizio della tournée.

Ugo Chiti è tra i migliori autori di teatro in Italia, in barba alla reiterata lagna sull’assenza di drammaturghi e ai meccanismi kafkiani di finanziamenti, favori e maneggi che imperano e ammorbano il sistema scenico nazionale. Da oltre venticinque anni, infatti, sforna testi e spettacoli con Arca Azzurra Teatro, la compagnia da lui fondata, con l’aiuto dei “suoi”, peraltro eccellenti, attori, oppure con collaborazioni illustri come Alessandro Benvenuti o Lucia Poli. Chiti è anche acuto interprete d’una strada toscana distante dall’uggiosa tendenza alla cartolina o al versaccio, malattia morbosa che attanaglia i “nostri” attori regionali, troppe volte inchiodati a un macchiettismo tanto di successo (ma le cose stanno cambiando) quanto inerte e, diciamocelo, ormai irritante. La Toscana di Chiti è nera, grottesca d’una comicità che sporca la bocca, che ha un retrogusto amaro, irriducibile ma di grandissima emozione. In questo senso, Boccaccio è stella polare per l’autore chiantigiano, giacché il confronto col suo capolavoro novellistico, il Decamerone appunto, rappresenta strada più volte battuta in carriera: Amori e sghignazzi è, infatti, almeno la terza rielaborazione ispirata al libro delle cento novelle, dopo Decameron – Variazioni e il bellissimo Buffi si nasce, compendio di storia della comicità burlesca toscana (da Boccaccio allo stesso Chiti, passando per Machiavelli, Palazzeschi e Augusto Novelli) il cui primo episodio era ispirato alla novella di Calandrino gravido.

Amori e sghignazzi ha una struttura a cornice costituita dalla gustosa vicenda di Masetto da Lamporecchio, contadinello finto mutolo per entrar a servizio in convento e che, in breve, si vede “costretto” a soddisfare le brame sessuali di tutte le monachelle, badessa inclusa. La novella è leggera, distesa e inebriante: la vita, e in questa il sesso, è troppo bella e importante per poter essere ingabbiata da una moralità mortificante ad annichilire corpo e piacere.

In scena, quindi, subito un cicaleccio di suorine, indifferentemente interpretate da attori e attrici: quasi uno spettacolo di Paolo Poli, da tanto il clima carico di licenza e malizia s’impelaga nel mescolar sacro e profano grazie anche all’alternanza di svariati e indovinati costumi. E l’inversione sessuale trova la sua quadratura nel buffo Masetto, vivacemente interpretato da Lucia Socci: interessante la soluzione d'alternare narrazione e dramma, con i personaggi che ora raccontano le vicende come se ne fossero esterni, ora “tornano” nel personaggio della rappresentazione.

La scenografia scarna (una struttura centrale con una porta sghemba dalla quale entrano ed escono i personaggi) è però funzionale alla recita, allorquando, nel corso della storia di Masetto, s’innestano i racconti di altri episodi boccacciani. Ai pochi arredi fanno da contrappasso i già citati costumi, sgargianti o rustici secondo necessità, che moltiplicano gli attori (sette nel complesso) in un ben maggior numero di personaggi. Dopo il primo assalto sessuale subito dal giovane contadino, ecco narrata la paradossale vicenda di Alatiel, principessa orientale destinata a matrimonio d’interesse politico, che prima di giungere in sposa al marito promesso affronta una serie infinita d’esperienze, ovviamente erotiche, per poi riacquisire, con l’artificio, una riparatrice verginità. Massimo Salvianti è un irresistibile Soldano, costantemente affranto dalle peripezie filiali narrategli dal buffo servo con tanto di squillante trombetta. Dopo un primo ritorno alla “cornice” del convento muliebre di Masetto, ecco il secondo innesto, la celebre vicenda dell’aspirante cristiana Alibech che, alla ricerca di un eremita che le apra la via alla santità, finisce per accogliere e placare lo diavolo (ossia il membro virile) del probo Neerbale nel proprio inferno (ossia la di lei vagina), dando vita a un irresistibile misunderstanding di natura morale.

Sino a questo momento lo spettacolo è godibile, leggero, forse anche troppo lieve: bravi gli attori, ma questo Decamerone sembra a tratti edulcorato, eccessivamente levigato, pur nelle indovinate scelte linguistiche d'un Chiti in grado d’essere fedele al toscano boccacciano e, al contempo, moderno nel mettere in scena una lingua a tratti inventata. Ma è proprio il terzo inserimento novellistico a costituire la svolta dell’intero allestimento: le note struggenti di Cinquecento catenelle d’oro, bellissima canzone popolare toscana, aprono la triste storia di Lisabetta da Messina: la ragazza, interpretata dalla bella e brava Teresa Fallai, canta e ricama, subendo senza nemmeno accorgersene, tanto è svagata, le insidie dei suoi stessi fratelli, tre figuri tendenti al bifolco. Sulla continenza della fanciulla, veglia la matrigna Celeste (Giuliana Colzi), sempre a maledir la morte del marito che le ha lasciato un’incombenza tanto improvvida quale l’ostacolar il corso della natura giovanile, ossia l’amore. Lisabetta, infatti, s’innamora d'un servo, con cui nemmen riesce a capirsi parlando. Questi, un notevole Alessio Venturini nel ruolo che un tempo sarebbe stato dell’amoroso, ne diventa amante, finendo per giacere con la fanciulla: viene scorto dai fratelli che, gelosi, decidono di ucciderlo. Dopo l’esecuzione, il ragazzo appare in sogno a Lisabetta, rivelandole i dettagli macabri della propria fine: lei impazzisce e, aiutata dalla comprensiva e ora solidale matrigna, dissotterra il corpo violato dell’amante per conservarne la testa nella terra d’un vaso di basilico. La canzone prima intonata da Lisabetta diventa presagio d’amor folle e doloroso, eppur inscindibile e bellissimo. I fratelli, però, scoprono sia la pianta sia la testa ormai tumefatta e, in una scena grottesca quanto straziante, improvvisano una serie di passaggi calcistici con ciò che resta del corpo amato dalla giovane.

Conclusa questa cupa novella, lo spettacolo torna alla cornice di Masetto, alla sua voce “scoperta” dalle monache e sapientemente camuffata da evento miracoloso, per fare in modo che il lieto ménage conventuale possa protrarsi con soddisfazione e del villano e delle monachelle ormai aduse al sesso. Ma il sapore prevalente che resta impresso nello spettatore è quella amarezza nera, dolorosa e sublime, della vicenda di Lisabetta, in cui si saggia il peculiare senso del grottesco che rappresenta una delle corde principali del teatro di Chiti, in grado di far ridere e allo stesso di emozionare in modo ambivalente e profondo lo spettatore.
Lo spettacolo, che pareva tradire la complessità del dettato boccacciano, acquista invece una dimensione tragica insanabile, senza però rinunciare al gioco comico, al sorriso sino al ghigno, e recuperando una certa consonanza col Pasolini violento e vitale della Trilogia della vita, di cui Il Decameron (1971) rappresenta il primo mirabile episodio. Il Boccaccio di Chiti, quindi, rappresenta bene il paradigma di un incessante lavoro sulla toscanità del drammaturgo e regista chiantigiano, mai sputtanata nella banalità volgarotta di molti colleghi attori o autori e, anzi, affrontata nella sua violenta e profonda complessità: l’unica vera speranza per sfuggire alla prospettiva, inquietante o meno che sia, dell’omologazione.
Applausi meritati, si replica sino a sabato 17.

Visto il 9 novembre 2007, a Firenze, Teatro di Rifredi.

Spettacolo
Decamerone, amori e sghignazzi
dal Decameron di Giovanni Boccaccio
libero adattamento e regia di Ugo Chiti
con Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti,Lucia Socci, Teresa Fallai, Alessio Venturini
costumi: Giuliana Colzi
luci: Marco Messeri
musica originale e adattamento: Vanni Cassori, Jonathan Chiti
oggetti di scena: Lucia Socci
Produzione: Arca Azzurra Teatro
Foto: courtesy Teatro di Rifredi e Arca Azzurra Teatro

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