(da loschermo.it)
BUTI (Pisa) - Debutto stagionale per il Teatro Francesco di Bartolo con l'ultimo allestimento di Emma Dante, regista e drammaturga tra le più apprezzate del momento. Gran prova d'attore per il bravo Gaetano Bruno a fronte di alcune perplessità circa le scelte implicite dell'allestimento. Il pubblico, ha in ogni caso, dimostrato di apprezzare molto lo spettacolo, premiandolo con applausi calorosi e prlungati
In questi ultimi anni la Sicilia (ma il discorso potrebbe estendersi all'intero meridione) ha scoperto una rabbiosa vivacità artistica, in grado d'esprimere, in forme e contesti differenti, una generazione di talenti d'indubbio valore. Se un tratto, non senza forzar la mano, riesce ad accomunare certi fenomeni musicali (si pensi, su tutti, a Carmen Consoli, che salda sicilianità profonda su tessutiture debitrici di un female rock graffiante e ricercato) a contemporanee epifanie sceniche (la rivisitazione del cunto da parte di Davide Enia, gli spettacoli di Vincenzo Pirrotta), questo è certo una magmaticità dolorosa, ribollio sotterraneo e grottesco di pulsioni in grado d'accostare la nostra modernità a quell'aura mitica di cui il Sud, o ciò che comunemente s'intende per tale, sembra essere intriso.
Emma Dante, quarant'anni, è forse la capofila di una drammaturgia arrabbiata e dolente, che nel rapporto complesso con le proprie radici culturali ha trovato una chiave di lettura per i temi principali del proprio teatro, concentrato sui temi del disagio, della comunicazione saltata, dell'insuperabilità del dolore. Del resto, l'attrice-autrice-regista palermitana ha, negli ultimi anni, fatto incetta di premi e riconoscimenti, segnalandosi, non senza merito, tra i più significativi fenomeni del teatro d'oggi. Basti pensare agli spettacoli scritti e diretti, quali mPalermu (2001), Carnezzeria (2002), Vita mia (2004) sino ai recenti Mishelle di Sant'Oliva (2005) e Cani di bancata (2006).
La stagione del Teatro Francesco di Bartolo di Buti ha quindi scelto per il debutto l'ultimo lavoro dell'artista sicula, Il festino, monologo cucito "addosso" al bravo Gaetano Bruno e prodotto dall'interessante sinergia tra la compagnia "storica" della Dante, Sud Costa Occidentale, con Nuovo Teatro Nuovo di Napoli e il Festival delle Colline Torinesi.
In scena una figura antropomorfa, capo coperto da un panno, si muove a scatti, a singulti, senza far capire se a rivolgersi verso il pubblico siano il busto o le spalle. La luce si diffonde e, lentamente, compare il profilo di Paride, pinocchiesco personaggio a metà tra fanciullo e idiota, "doppio" d'un gemello costretto su una sedia a rotelle. Lo stralunato carattere parla, si rivolge direttamente al pubblico, frangendo reiteratamente la quarta parete, squittendo con modi infantili nel perpetrare il tormentone del suo contorto e buffo eloquio: "Te la posso dire una cosa?"
È solo, a ricuperare la memoria d'un abbandono paterno, della disattenzione materna e dell'accidentale fratricidio: un racconto dolorosamente grottesco, buffo nel continuo interrogar la sala e nel tratteggiare un'umanità abbandonata, calata in una dimensione onirica e inquietante. Pierrot imbevuto d'una Palermo mai nominata, ma evocata dagli scarti linguistici volutamente macchiati d'accenti siciliani, Paride vive proiettando passato e presente in una dimensione quasi giocosa, come quando, nel tentativo di curare l'infermità del fratello, inizia a mettere in equilibrio tutti gli oggetti che trova, stuzzicadenti, sedie e scope... Queste ultime sono le altre protagoniste della scena, proiezioni di persone a amici che animano il festino del trentanovesimo compleanno del personaggio (e del di lui gemello, se solo fosse vivo...), ragione degli scarni addobbi colorati e dei palloncini che adornano la scena.
C'è una macerata desolazione nelle parole smozzicate di Paride, una resa di fronte alla realtà dell'abbandono per rifugiarsi nella dimensione autoreclusiva dell'immaginazione, gioco al massacro non distante dalle orribili (e comiche) famiglie di Kafka e certe tirate satiresche di marca fassbinderiana.
Le musiche sottolineano questa scelta drammaturgica, spaziando dai Blur al finto (?) thrash di Limonata cha cha cha della, non a caso palermitana, Giuni Russo, rafforzando la dimensione grottesca e, al contempo, patetica della storia, soprattutto con il crescendo dei Sigur Ros nel finale.
Gaetano Bruno è senz'altro la nota migliore dell'allestimento, certo per la plasticità corporea, a suo modo aggraziata nella disarmonia del personaggio, in grado però di lanciarsi in balletti quasi Broadway style usando le scope quali compagne di danza.
Non altrettanto si può dire circa le altre scelte registiche: innanzitutto una scenografia che, volendosi povera e desolata, risulta invece sciatta, esageratamente dilettantesca, forse costretta dalle dimensioni esigue del palcoscenico (ma v'è da dubitare, dopotutto, si tratta di un monologo).
Di certo la decisione è ponderata, e proprio perché tale, dunque, la si può mettere in discussione.
Allo stesso modo, discutibile appare la concezione complessiva dello spettacolo, soprattutto nel finale dolceamaro, col protagonista solo e, forse, felice, nel proprio festino di proiezioni fantasmatiche e miccette esplose in scena, con tanto d'invasivo crescendo musicale al servizio del costrutto retorico e, diciamocela tutta, lacrimevole dell'insieme.
C'è del manierismo, in tutto questo: un mettere in scena alla maniera di. Non si discute che il primo scopo d'un artista sia la ricerca d'un proprio stile, ma, Calvino docebat, una volta trovatolo (spesso per accidente), il successivo passo d'un percorso poetico dovrebbe essere lo smarcamento, lo scarto, la sorpresa. A meno che, nel percorso, non subentrino logiche, assolutamente comprensibili, di tipo commerciale: formula che vince non si cambia.
Questa l'impressione che, al di là di Emma Dante, danno gli ultimi "fenomeni" della scena italiana contemporanea: spunti interessanti, a tratti discutibili ma di sicuro merito, cui seguono spesso lavori di minor coraggio, corroborati da un'autoreferenzialità tipica dell'ambiente teatrale, in cui esistono gerarchie ben precise, ancorché avvalorate da patenti di qualità conferite dal "circuito d'intenditori".
Gli applausi del pubblico in sala sono convinti, ai limiti dell'ovazione per Gaetano Bruno che, ripetiamo, è bravo, ma le perplessità appena proposte, francamente, restano tutte.
Visto a Buti, Teatro Francesco di Bartolo, il 21 novembre 2007.
Spettacolo
Il festino
testo e regia: Emma Dante
con Gaetano Bruno
luci: Antonio Zappalà
produzione: Sud Costa Occidentale in collaborazione con Nuovo Teatro Nuovo di Napoli e Festival delle Colline Torinesi
Foto tratte da http://www.emmadante.it/, http://www.sudcostaoccidentale.com/ e http://www.nuovoteatronuovo.it/
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