(da loschermo.it)
SERAVEZZA (Lucca) - Grosso guaio in Danimarca - Quando spunta la luna a Elsinore di Giovanni Guerrieri è stato il secondo spettacolo proposto dal Shakespeare Festival and what you will di Seravezza. Un allestimento originale in cui la storia del principe danese viene vissuta da un diverso (e sorprendente) punto di vista
Peccato che, a volte, certe rassegne teatrali estive non riescano a supportare al meglio le proprie offerte: Grosso guaio in Danimarca di Giovanni Guerrieri, allestito dalla compagnia I Sacchi di Sabbia in occasione del Shakespeare Festival and what you will, avrebbe certo meritato ben di più rispetto allo sparuto gruppetto di spettatori visti ieri sera presso il Palazzo Mediceo di Seravezza. E di più avrebbero meritato anche in termini di supporto logistico, giacché l'allestimento, di per sé piuttosto semplice (come è nella tradizione del gruppo, per scelta poetica e, purtroppo, economica), si è dovuto adattare alla sala interna del Palazzo, dove per questioni di sicurezza non è stato possibile allestire nemmeno un minimo di luci sceniche. Tutto sulle spalle degli attori, quindi: il napoletano Enzo Illiano, membro storico dei Sacchi, e il toscano Marco Azzurrini, del Teatro di Sant'Andrea di Pisa, con la regia di Angelo Cacelli.
S'inizia con un interrogatorio: un allampanato Azzurrini risponde impaurito cercando di scagionarsi da un'accusa non meglio precisata. Occhi sgranati, buffa insicurezza, replica a domande che il pubblico non sente. Infatti, coloro che conducono l'interrogatorio sono idealmente collocati nello spazio del pubblico (soluzione che rimanda a Eduardo, e la famosa scena del caffè col professor Santanna in Questi fantasmi!). C'è un delitto di mezzo, trapelato dalle parole stentate del poveraccio, parole smozzicate che rivelano più di quel che vorrebbero celare, nella reiterata questua di cibo, "che so… una minestrina...". Entra in scena Illiano: spavaldo, sicuro di sé, con la simpatica sicumera che è dei napoletani. Anch'egli indagato, complice del primo. Tra le parole di uno e le smentite dell'altro s'innesta un gioco efficace, in cui il risultato è una confessione involontaria, manifesta nella successiva scena in cui vediamo l'affamato Azzurrini sorbirsi l'agognata minestrina.
Chi sono 'sti due disgraziati? Rosencrantz e Guildenstern? No: la trama originale non quadrerebbe, giacché sullo sfondo aleggia la storia di Amleto, l'intrigo internazionale tra le corti di Danimarca e Norvegia, in un buffo rivoltare la trama shakespeariana sondandone significati laterali. Più del principe filosofo, intrappolato nel pelago dell'impossibilità d'azione, Guerrieri s'interessa a Laerte, figlio di Polonio, Fortebraccio e Rinaldo, la cui morte in terra di Parigi è al centro dell'indagine. I due maldestri sicari si rivelano via via protagonisti assoluti, e segreti, della tragedia danese: infiltrati nella compagnia di comici che si presenta a Elsinore, coinvolti nelle apparizioni spettrali del padre di Amleto, veri e propri motori d'una vicenda che non sanno comprendere appieno.
Il testo di Guerrieri quindi propone un rovesciamento comico, parodico, ma non banalizzante.
Non si tratta di sputtanare un classico, bensì di metterlo alla prova, reinterpretarlo, farlo coagulare con altre istanze, in una parola renderlo vivo, pulsante, perché solo interpretando i classici come organismi viventi è possibile tentare di carpirne scampoli di senso. Del resto, la lezione di Guerrieri e del suo gruppo "tosco-napoletano" non è inedita, quantomeno in quella linea di teatranti che è una delle (poche) risorse reali della scena italiana: dai ripetuti Amleti di Carmelo Bene (che usava toglierli di scena) al magistrale esempio di Leo De Berardinis, peraltro fra i primi sostenitori dei Sacchi sul finire degli anni Novanta.
All'idea del rovesciamento, corrisponde, peraltro una partitura scenica cucita alla perfezione addosso ai due bravi attori, in questi personaggi buffi, malmessi ma anche lunari, tragicomici nella loro risibile cialtroneria. Nel conflitto linguistico che ricorda il duetto Benigni-Troisi di Non ci resta che piangere (Azzurrini parla in un italiano sporcato di toscanismi, Illiano non disdegna il napoletano stretto), i due imbastiscono un differente gioco da Commedia dell'Arte: qui il toscano è clown nero, vittima succube dell'aggressivo napoletano, un clown bianco cui Illiano conferisce crudeltà e guapperìa. Da sottolineare i tempi dei due interpreti: rapidi, ben calibrati; le battute di entrambi si susseguono come rasoiate, segno non solo di bravura, ma di buona regia. Alla fine, non si può che solidarizzare con queste due spie pasticcione, protagoniste senza comprenderlo d'una storia più grande di loro, e che in questo ricordano un poco i Gassman e Sordi de La Grande Guerra, vigliacchi e lavativi trasformati in eroi per caso.
Una performance da vedere, quindi, ieri sera impreziosita (e non, forse, penalizzata) dalle difficili condizioni di recitare senza supporto scenico adeguato e di fronte a un pubblico meno che esiguo: è probabilmente in situazioni del genere che si finisce per apprezzare ancor di più l'attore, elemento insostituibile d'ogni teatro e suo anagramma perfetto.
Visto il 27 giugno 2007, a Seravezza (Lucca), Palazzo Mediceo.
Spettacolo
Grosso guaio in Danimarca - Quando spunta la luna a Elsinore
di Giovanni Guerrieri
liberamente ispirato all'Amleto di William Shakespeare
con Marco Azzurrini ed Enzo Illiano
tecnica: Federico Polacci
regia: Angelo Cacelli
Produzione: Sacchi di Sabbia - Santandrea Teatro
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