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lunedì 26 dicembre 2011

La vecchia gioventù di Lavia

(da Giudizio Universale)
Per celebrare fasti e violenze della verde età, il regista romano riporta sulle ribalte lo spettacolo che lo consacrò nell'82. In questo I Masnadieri di Schiller lui non va in scena, ma lascia spazio agli attori della Giovane Compagnia del Teatro di Roma. A suonare datata, però, è l'idea stessa delle nuove generazioni
di Igor Vazzaz



I giovani, strana entità: mobile, mutevole (quelli di ieri, oggi sono adulti, forse; quelli di oggi, adulti lo saranno, magari), eppure sempre evocata, blandita, costantemente puntata da un mercato che, a sessant’anni dall’invenzione del rock’n’roll, l’ha eletta peculiare riserva di caccia.



Certo, i tempi son cambiati: una volta esser giovani era indiscussa benedizione, adesso, coi neodottori alle cornette congestionate dei call center, si gode meno, benché l’agio dell’età sia tuttora fuor di dubbio. E proprio ai ragazzi si rivolge Gabriele Lavia per riprendere un testo che, tre decenni orsono, contribuì a consacrarlo nell’empireo del nostro teatro. All’epoca, pure lui era giovane - benché quarantenne - lanciato non solo in scena: il connubio con la Guerritore all’inizio, la carriera in gran parte da fare... Adesso, il vecchio Gabriele è ancor più una potenza (tralasciamo i casi di cronaca famigliare), il matrimonio con Monica finito, la carriera indiscutibile.

Si rimette quindi al lavoro su I masnadieri d’un ventiduenne Schiller: cinque atti di drammone sanguinolento, in cui i prodromi romantici si fondono con istanze scespiriane e libertarie. In scena Lavia non compare, ché l’unica parte consona sarebbe quella del padre Moor, affidata invece al bravo Gianni Giuliano: il resto del cast è composto dalla Giovane Compagnia del Teatro di Roma (così recita la locandina), in un’iniziativa che si colloca esplicitamente sotto la scintillante insegna della verde età.

Lo spazio unico, foresta metafisica di pertiche nere alle cui sommità sono fissati riflettori dalle luci aranciate, diviene all’occorrenza palazzo, strada, bosco, piazza. I tiepidi cromatismi sfumano in note lunari, allorquando, dall’alto, calano fasci bluastri su un pavimento interamente cosparso di terriccio marrone, che sprigiona calcolate nuvole polverose ogni qualvolta i caratteri in scena compiono movimenti decisi. Ad accogliere lo sguardo buio del pubblico, le note di Franco Mussida, già chitarra della PFM: trama sonora cupa, tutta squassi percussivi e reiterati strappi melodici, non esenti da richiami di sapore etnico.

All’interno di questa cornice, Die Rauber diviene partitura dark dalla declinazione grottesca, i cui richiami pop e cinematografici formano, per accumulo, un composito disegno. L’ingresso del deforme e cainesco Franz (Francesco Bonomo), se da un lato già dal testo pare un rimando a Riccardo III, dall’altro nel ghignante duetto con il padre dei Moor si carica di tratti comici alla Àigor di Frankenstein Jr, strappando non pochi sorrisi alla platea della Versiliana. Allo stesso modo, la ciurma debosciata dell’eversivo Karl (Simone Toni) è sospesa tra un Bad di jacksoniana memoria e il (finto) ribellismo dei furono Guns’n’Roses, con movimenti coordinati alla stregua delle coreografie di musical travoltiani.

Pelvici e sfrontati, i masnadieri si danno al crimine nella più totale confusione ideale e ideologica, prede d’un giovanilismo in cui arduo è rinvenire un costrutto che sia uno. La recitazione s’adegua all’andamento: arrabbiata e gridata da risultar monocorde. Vorrebbe esser punk, ci pare, ma non sfiora manco da lungi l’eccesso, arginata nei placidi confini di un’interpretazione scolastica che, nonostante sia sinteticamente corretta, crolla al cospetto d’una qualsiasi valutazione d’efficacia. Vibrano, questi masnadieri, ma non fan vibrare: lì il problema.

A poco servono le invenzioni, per di più gratuite, quali i microfoni laterali cui i personaggi principali affidano le parti rilevanti dei rispettivi copioni o lo Schiller canzonato (letteralmente, messo in canzone) dall’Amalia di Cristina Pasino. "Maledetti voi!", intona su un’incerta melodia simil grunge, ma non incute né lo struggimento delle grida di Kurt Cobain  né la disillusione dei precedenti "no future" dei Sex Pistols: “ci fa”, quando dovrebbe, preferibilmente, “esserci”.
Troppo facile, però, sarebbe prendersela con una compagnia volenterosa e, al netto delle direttive registiche, abbastanza ingiudicabile. Il dubbio è, infatti, un altro, ovvero che sia l’idea dei giovani che ha Lavia a esser, perdonate il bisticcio, vecchia: cliché, solo cliché, e neppure troppo aggiornati. La masnada delinquenziale offertaci non è che una parodia stereotipata d’una credibile brigata criminale, e per questo un testo non facile come quello schilleriano (abbondante d’ingenuità, al di là di un’imponente costruzione drammaturgica) s’inceppa, non riuscendo minimamente a risultar attuale. E la categoria dei giovani, per una volta di più, resta quella che è da tempo: una semplice entità astratta, costantemente tirata per la giacchetta.
06 Ottobre 2011


Oggetto recensito:
I masnadieri, di Friedrich Schiller, regia di Gabriele Lavia
Il resto della locandina: con Fabio Casali, Daniele Ciglia, Filippo De Toro, Michele De Maria, Daniele Gonciaruk, Gianni Giuliano, Davide Gagliardini, Marco Grossi, Andrea Macaluso, Luca Mannocci, Luca Mascolo, Giulio Pampiglione, Giovanni Prosperi, Alessandro Scaretti, Carlo Sciaccaluga; Alessandro Camera, scene; Andrea Viotti, costumi; Franco Mussida, musiche; produzione Teatro di Roma – Teatro Stabile dell’Umbria in collaborazione con La Versiliana Festival
Prossimamente: Roma, Teatro India dal 27 ottobre al 27 novembre; Perugia, Teatro Morlacchi, dal 30 novembre al 4 dicembre; Como, Teatro Sociale, 21 e 22 gennaio 2012; Brescia, Teatro Sociale, dal 9 al 15 febbraio 2012
Nel 1982: il cast era formato da Gabriele Lavia, Umberto Orsini, Monica Guerritore, Giovanni De Lellis, Gino Pernice, Alberto Ricca, Luigi Carani; oltre a Lavia regista, l’unico superstite è Viotti ai costumi Monica Guerritore ricorda: "Una mia amica mi portò a vedere l'Amleto di Lavia (…), restai senza fiato a guardare quel matto coi capelli rossi che recitava Amleto, con una violenza, una modernità indescrivibile. (…) d'impulso come sempre gli scrissi un biglietto e glielo lasciai il giorno dopo in teatro, se avesse avuto bisogno di me sarei corsa. Lui pensò ad uno scherzo e non si fece vivo. Ma a dicembre mi telefonò, mi chiese se conoscessi i Masnadieri di Schiller io risposi di sì, mi chiese di andare alle prove il giorno dopo. Io ero in montagna, presi il vagone-letto. Non sapevo nulla né dei Masnadieri né di Schiller. Ma sapevo che quell'uomo avrebbe cambiato la mia vita e dopo i primi giorni di prove capii anche che quello spettacolo avrebbe cambiato, almeno in parte il teatro italiano. E così fu" (dal sito ufficiale dell’attrice)
Carmelo Bene sui giovani: "I giovani hanno rotto i coglioni. Che invecchino"
giudizio:

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