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lunedì 26 dicembre 2011

Come eravamo con Elio Petri

Roma ore 11 nasce da un'inchiesta del regista da giovane, ora portata in scena da Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti e Mariàngeles Torres, registe ed interpreti assieme. Spettacolo vivace, ma soprattutto testimonianza di un paese cordiale e chiaccherone che ora stentiamo a riconoscere  
di Igor Vazzaz

Quanto è distante l’Italia di un tempo? Quesito declinabile all’infinito: tra la retorica “Signora mia, dove andremo a finire” e il Pasolini corsaro, lo spettro di sfumature è incalcolabile, benché innumerevoli fattori sembrino porgerci il fatidico interrogativo con frequenza sempre più sospetta. E capita che un’opera teatrale, al di là dei meriti estetici della singola visione, entri in risonanza con riflessioni che, complici cronaca e ricorrenze storiche, animano il dibattito e l’attualità del nostro paese.
 
Roma ore 11, a dire il vero, è uno spettacolo progettato qualche stagione fa, in cui quattro attrici registe di sé stesse prendono spunto dal libro–inchiesta del ventenne Elio Petri a proposito d’un fatto di cronaca datato 14 gennaio 1951: duecento ragazze, accorse al 31 di via Savoia in risposta a un annuncio di lavoro, vennero coinvolte nel crollo di una scala della palazzina che le ospitava; una morì, altre settanta riportarono contusioni gravi. Il futuro premio Oscar intraprese un’accurata indagine giornalistica, nutrita di testimonianze dirette e indirette, fornendo un vivace affresco d’una Roma, e di un’Italia, che ancora stentava a risollevarsi dagli urti di guerra e Ventennio. Ne venne fuori, inoltre, il lungometraggio girato da Giuseppe De Santis nel ’52.

Sipario aperto, distesa di panni in bella vista, popolaresca terrazza d’antan: sarà la suggestione filmica, ma la mente corre a Una giornata particolare con Mastroianni e la Loren. Le protagoniste entrano direttamente dalla platea: non indossano particolari costumi, chiacchierano con nonchalance leggendo offerte d’impiego dai giornali di oggi. Finzione scenica incastonata nel qui e ora, almeno per l’incipit d’un allestimento che molto giocherà sulle crasi e gli slittamenti tra realtà e finzione. Dai toni quasi d’avanspettacolo delle prime battute (frequenti le aperture della uarta parete) si passa all’argomento vero e proprio, complice il filmato d’epoca proiettato sul bianco sporco del lenzuolo centrale, cesura che ci catapulta nei primi anni Cinquanta. A turno, le attrici giostrano nei panni del Petri cronista curioso, del testimone ciarliero, della governante indisponente, in una continuo flusso di ruoli e interpretazioni che, di per sé, ci pare tra le migliori trovate della recita: i cambi di costume conferiscono vivacità al movimento, unitamente ai siparietti musicali a quattro voci che ripropongono, con gustosa orchestrazione, alcuni motivetti dell’epoca.
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Il tentativo è quello di riportare in scena, grazie al pasticciaccio brutto di via Savoia, una Roma gaddiana, la sua brulicante congerie di dialetti ed esistenze, il caotico formicaio di speranze, sogni e delusioni di un’Italia che non c’è più. Idea ottima, ed è un peccato, dunque, che la recitazione finisca quasi sempre per incagliarsi nei cliché di caratteri poco approfonditi, dato che allo spessore del singolo personaggio s’è data preferenza al tourbillon della moltitudine vocale. Il ritmo ne risente, soffrendo di alcune dilatazioni in eccesso, a penalizzare, di fatto, uno degli scopi del progetto, ossia guardare a ieri per rivolgersi a oggi.

Non mancherebbero, e non mancano, spunti e idee da giocarsi meglio, come i riferimenti alla speculazione edilizia capitolina del secondo dopoguerra, ma, senza la dovuta levigatura drammaturgica, le intuizioni non bastano. E non sarebbe stato male tentare, in qualche modo, un maggior cortocircuito tra le dimensioni temporali con cui giocano le apprezzabili Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti, Mariàngeles Torres.

Al termine dello spettacolo, tra gli applausi pur meritati alle artiste, il tarlo che resta è, infatti, uno e uno solo, tutto nostro, dato che ci pare solo sfiorato dalla messinscena: cosa hanno in comune quell’Italia popolana e, forse, un po’ ingenua, che cercava lavoro riversandosi nella capitale da ogni provincia, ricevendone accoglienza persino una certa solidarietà, e il Paese di oggi, il suo esibito egoismo, il menefreghismo sociale eretto a sistema? È un dubbio malato terminale di retorica, ce ne rendiamo ben conto non senza imbarazzo, ma non possiamo fare a meno di considerarlo.
27 Aprile 2011


Oggetto recensito:
Roma ore 11, di Elio Petri, regia di Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti, Mariàngeles Torres
Prossimamente in scena: 3-4 maggio, Bassano del Grappa, Teatro Remondini; ripresa a ottobre 2011
Produzione Associazione Culturale Artisti Riuniti e Mitipretese, in collaborazione con Teatro Eliseo
Riconoscimenti: miglior spettacolo d'innovazione Premio ETI - Gli Olimpici del Teatro 2007
Elio Petri: uno tra i maggiori, e paradossalmente meno ricordati, dei nostri registi; Oscar 1971 al miglior film straniero per Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Orso d’Oro a Berlino 1969 per Un tranquillo posto di campagna, Palma d’Oro a Cannes 1972 per La classe operaia va in paradiso; il “suo” attore è stato un altro gigante a rischio rimozione del nostro cinema, Gian Maria Volonté
Il libro: Elio Petri, Roma ore 11, Milano–Roma, Edizioni Avanti, 1956, ripubblicato nel 2004 da Sellerio
giudizio:

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