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giovedì 18 febbraio 2010

Rom(eo) e Giulietta

(da Giudizio Universale, versione web)
La più celebre storia d'amore del teatro è ambientata in un campo nomadi nello spettacolo di Federico Tiezzi in anteprima nazionale a Prato
di Igor Vazzaz

I classici non possono essere affrontati senza tradimento: questione etica ed estetica. Riproporre Shakespeare secondo i canoni dei suoi tempi (strano a dirsi: il Bardo è stato anche un contemporaneo) non avrebbe altro senso che quello archeologico, là dove il teatro si consuma sempre nel qui e ora della performance, nel non luogo della scena. Per questo l’idea di ambientare la più celebre storia d’amore della scena in un campo nomadi è plausibile e permette a Federico Tiezzi di lavorare su immagini di grande suggestione.

L’incipit vede gli spettatori accomodati sulle gradinate d’uno spazio chiuso, al centro del quale, in basso, s’apre una stretta stanza da letto, con due figure umane. Francesca Benedetti e Franco Graziosi, attempati Giulietta e Romeo, danno vita a uno dei dialoghi più noti del dramma, evidenziando la fissa eternità dello spasimo amoroso, quasi irridendo il tempo lineare nelle forme sfiorite di corpi non più giovani, benché bellissimi da vedere: e l’abbraccio coricato, in cui le gambe della donna intrappolano quelle dell’amato, è figura di grande dolcezza.
Si passa nell’ampiezza d’un Fabbricone trasformato, reso strada con lampioni, polvere, guardrail e due tribune poste ai lati della carreggiata che nel finale ospiterà lo smog d’una reale Bmw magnaccia style. Intorno, cinque roulotte definiscono l’en plen air d’un campo rom: giovani guappi dai costumi trasandati camminano spavaldi, tute da ginnastica, camice aperte, catene d’oro, esibizione orgogliosa e ambigua di potenza sessuale. Si scontrano, ammiccano, si sfidano, sulle note di musiche balcaniche e in coreografie dal sapore pop, strappati dai film di Kusturica, compresa la bionda Giulietta di Caterina Simonelli. Recitazione sofferta, fremente, aggressiva: la prima morte, simulata, col seppellimento nella sabbia, resta il quadro più potente dell’intera messinscena.
Capuleti e Montecchi si fronteggiano in strada, con ombrelli e bare di frassino come suppellettili, oggetti di scena che divengono pedane, scivoli e trampolini per evoluzioni d’ogni tipo, compreso il monologo della protagonista eseguito agilmente su un paio di rollerblade. Roberto Latini è un Mercuzio ancheggiante e teppista, ciarliero come d’obbligo e dall’indomita esuberanza pelvica: schiaccia con la forza d’una vocalità esasperata gli altri bulli, compreso il Romeo di Matteo Romoli, personaggio meno istrionico e gigione e, dunque, più complicato da rendere nelle sue infinite sfumature, specie in questa peculiare ambientazione zingaresca.

Lo spettacolo scorre bene, nonostante le oltre due ore, alternando momenti di grande efficacia ad altri di stallo: il sud del mondo dei rom, condito da influenze latinamericane e inserti en travesti, rischia d’apparire escamotage non privo di senso, ma d’ardua realizzazione. Il conflitto tra lingua shakespeariana e cornice soffre d’una scelta incompiuta: o si percorre la strada della potenza poetica originale o quella, altrettanto forte, d’una lingua sporca, gergale, ma ancor più estrema. Tiezzi ne sarebbe capace, si pensi ai suoi Pasolini e Testori. Il problema è che gli attori del Laboratorio di Prato, pur bravi, non sono zingari, ma fanno gli zingari: gridano, ma non snaturalizzano. Si finisce per non crederci, per non sentire la violenza immane, la hybris, non restando sconvolti come dovremmo e vorremmo, avvertendo un senso d’esteriorità poco aiutata da riferimenti pop non troppo sorprendenti. E nemmeno l’emozione è d’ausilio, bloccata sulla superficie epidermica di un’osservazione tutta razionale: c’è forza, ma non potenza, non quella che meriterebbero testo e allestimento. Spiace, anche a fronte d’altre buone idee, come quell’asfalto colorato di rose rosse che rappresenta il sanguinoso funerale d’una Giulietta in veste da sposa. Nel finale, in scena tutto il cast, compresi i due attori del prologo, a chiudere il cerchio ideale d’una storia d’amore e violenza che non ha ancora smesso di parlare ai nostri cuori. Da rivedere.
(14 Dicembre 2009)
Visto a Prato, Teatro Fabbricone, il 10 dicembre 2009

Spettacolo
Scene da Romeo & Giulietta, di William Shakespeare, regia di Federico Tiezzi

Giudizio:

Scheda
Il resto della locandina: Pierpaolo Bisleri, scene; Marion D’Amburgo, costumi; Roberto Innocenti, luci; Giovanni di Cicco, coreografie; e con: Marion D’Amburgo, Ciro Masella, Graziano Piazza, Alessandro Schiavo, Fabricio Christian Amansi, Giorgio Consoli, Simone Martini, Alessio Nieddu, Francesco Tasselli
Prossimamente: sino al 20/12, Prato, Fabbricone; in tournée nella prossima stagione
Il pregio: l’ambientazione ha un altissimo potenziale
Il difetto: non essere del tutto all’altezza del potenziale
Ipotetica soluzione: sporcare la lingua, aumentare l’eversività (è una parola…) o mettere davvero dei rom in scena
Da applausi: oltre a Benedetti e Graziosi, Marion D’Amburgo e Graziano Piazza

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