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sabato 20 febbraio 2010

Meglio cani che padroni

(da Giudizio Universale, versione web)
È lo slogan scritto sulla pelle dei protagonisti di Too late!, rivisitazione contemporanea del mito di Antigone proposta da Motus
di Igor Vazzaz (foto di Valentina Bianchi)

È un pertinente gioco d’accumulo e sottrazione, questo Too Late!, nuovo lavoro di Motus, gruppo storico di quella Romagna felix tra le principali teste di ponte del nostro teatro contemporaneo. A partire dal titolo, Antigone viene posta tra parentesi e privata di maiuscola: Too Late, troppo tardi, per una generazione cresciuta in tempi slabbrati, devastati dalla comunicazione, drogati di simultaneità, velocità, rumore. Troppo tardi per penetrare del tutto il mito tebano della sorella ribelle al tiranno e fedele alla legge divina. Troppo tardi per non "vergognarsi di questo paese", come afferma la stessa Silvia Calderoni, durante un passaggio intimistico della performance.

Si entra in sala da un ingresso laterale, attraversando per intero la scena sviluppata in larghezza; il serbo Vladimir Aleksic e la già citata Calderoni, vesti mascoline con tanto di chioma e baffi, entrambi convincenti e posticci, aiutano gli spettatori a prendere posto. Lo spazio è intriso d’una tenue atmosfera lattiginosa: luce diffusa da una serie di neon posti in linea su un’americana, a circa due metri e mezzo d’altezza, centrale e parallela ai lati lunghi del rettangolo scenico, dietro cui si dispone il pubblico. I riflettori, quadrati, d’una luce densa, sporcata di tonalità giallastre, rendono l’ambiente claustrofobico, simile ai corridoi carcerari visti nei film. Alle estremità dello spazio, due rotoli di panno verde. Un dolciastro odore di fumo alimenta un silenzio sospeso.

Silvia prende la parola, con esibita incertezza: lo spettacolo può iniziare. È contest, come nelle competizioni hip hop, cui si rifà la stessa ambientazione: cunicolo, strada, lingua di spazio inerte, suburbano, cui dare un significato attraverso parole e movimenti. Il confronto, di relazione fisica e spaziale, si fa serrato, animalesco, giocato su minime sfumature, in costante e sciente elusione del teatro convenzionale: gli attori non recitano, non simulano; agiscono, parlano.
Lacerti di testo classico frammisti a uscite dal personaggio, confessioni intime, riflessioni metateatrali sulla messinscena in fieri. I due interpreti sono formidabili macchine da teatro: il corpo di lei è un insieme di fasci muscolari che sono cordame teso e nervoso, atletico e vibrante. La pelle è, essa stessa, teatro, pagina, scena: si spoglia, nell’efebica magrezza coriacea, vergando su braccia e petto messaggi con un pennarello scuro. "Meglio cani che padroni", disperato, e politico, agognare animalesco, versione annichilita e ideologica d’un ipotetico I Wanna Be Your Dog, cui rimanda il corpo stesso dell’attrice, molto Iggy style. La sequenza in cui diviene, si fa cane latrante è una meraviglia di sforzo fisico e maestria attorica, cui risponde alla perfezione la potenza, rapida e robusta, dell’altrettanta versione canide di Aleksic.
Si procede a strappi: accelerazioni–interruzioni , accumulo–sottrazione. Il confronto col Potere è mise en abyme dei rapporti, sociali o familiari che siano. E gli attori sono lì, a sottrarsi, a dribblare l’interpretazione, uscendo continuamente.
Portentoso il gioco dello spazio, che è psichico, luogo di costrizione, dramma irresoluto, scena desolata d’una tragedia, da un lato, uguale a sé stessa, dall’altro, incastrata nella metastasi sociale della nostra contemporaneità. Questa una delle chiavi delle uscite degli interpreti, il loro dialogare da persone nello spregio della rappresentazione: "A me l’ironia fa male. Anzi, la odio", sibila feroce la protagonista, esprimendo il disagio per un riso usato quasi sempre come lubrificatore sociale, vettore conciliatorio, conformista e ipocrita.

Spettacolo minimale sotto il profilo tecnologico, inversione di tendenza rispetto ad altre realizzazioni di Motus. Esemplare, però, l’utilizzo della tecnica: i radiomicrofoni, lungi dall’enfatizzare il detto, il dicibile, sono vettori inumani d’amplificazione organica. L’abbraccio tra i due, incipit ed explicit della performance, diviene frastuono liquido, singulto soffiato, inaudito e impressionante. I rari oggetti di scena sono presenze polimorfe: le maschere sono carne da contesa canina e, subito dopo, inumani volti dell’autorità tirannica; l’americana coi riflettori è (anche) sbarra, altalena, punto d’appoggio per la stoffa che permette evoluzioni contorsioniste a Silvia/Emone/Antigone, sotto lo sguardo freddo e crudele di Vladimir/Creonte.
Tragedia impossibile o vita impossibile? Too Late, per fortuna, non risponde; pone domande, pregio raro in ambito teatrale e non solo. Sta agli spettatori (e con loro ai critici), costantemente spiazzati, depistati da questi cinquanta minuti affilati come un rasoio, decodificare, teorizzare una risposta. Le soluzioni non vengono mai dall’esterno.
(19 gennaio 2010)

Visto a Scandicci (Firenze), Teatro Studio, 15 gennaio 2010

Spettacolo
Too Late! (antigone) contest #2, di Motus, ideazione e regia di Enrico Casagrane & Daniela Nicolò

Giudizio:

Scheda
Il resto della locandina: Daniela Nicolò, drammaturgia; Enrico Casagrande, ambito sonoro; Andrea Comandini, fonica; Valeria Foti, direzione tecnica; progetto in collaborazione con Fondazione del Teatro Stabile di Torino e Festival delle Colline Torinesi, Magna Grecia Festival ’08, L’Arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, Progetto GECO – Regione Emilia-Romagna e Ministero della Gioventù
Prossimamente: tenere d’occhio www.motusonline.com
Il progetto: a Parigi, nell’autunno 2010, verrà presentato Syrma Antigónes, lo spettacolo di cui Too Late! è la seconda tappa d’avvicinamento e studio, dopo Let the Sushine In (antigone)contest #1

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