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domenica 11 gennaio 2009

Il Berretto di Flavio Bucci, tra consuetudine e voglia di novità

(da teatro.org)
Pirandello, croce e delizia della scena italiana, autore feticcio per il “teatro d’arte” (ammettendo la concretezza d’una tale definizione), che da decenni si confronta col girgentino in un serrato rapporto di smarcamenti, reinterpretazioni, alla ricerca di vie di fuga da certe cristallizzazioni banalizzanti. Il nostro terzo Nobel letterario (dopo Giosuè Carducci e Grazia Deledda) presenta non poche difficoltà nella messa a fuoco del suo discorso teatrale, legato com’è, nell’aspetto esteriore, a un mondo perduto di comportamenti e morali ormai non coniugabili con la sensibilità contemporanea. Per contro, esiste un nucleo rovente di teatralità, una riflessione legata alla messinscena e al suo ruolo che, spesso, se non passa in secondo piano, resta cristallizzata in interpretazioni tanto reiterate da risultar false, scontate e poco avvincenti.

È di fronte a questo vero e attuale dilemma pirandelliano che, spesso, si infrangono le intenzioni di tanta parte del “teatro di prosa” che inquadra l’autore siciliano come un “dovere”, spesso senza tributargli l’attenzione o l’abnegazione dovuta.
Il berretto a sonagli firmato da Nucci Ladogana con Flavio Bucci nei panni del loico cornuto Ciampa rappresenta, in questo senso, un compromesso, una via di mezzo d’ardua decriptazione: da un lato, svecchiamento della tradizione pirandelliana, ignorando scientemente l’imprinting conferito a questa pièce da Eduardo in una celebre mise en scène del 1936, dall’altra ripropone gli ordinari vizi d’una prosa risaputa, un modo di fare teatro assai ordinario e difficilissimo da sostenere se non con un’impeccabile esecuzione tecnica.

La scenografia, di Nicola Delli Carri, presenta un oppressivo, allucinatorio interno borghese, su cui regna il damascato rosso impero dei tre pannelli (due laterali e uno centrale, posto più indietro a creare due ingressi) al centro dei quali campeggiano cornici dorate prive di quadro: è qui che si dipana la grama storia di Beatrice Fiorìca, moglie tradita e (irragionevolmente) assetata di vendetta nei confronti del marito. Diana De Toni interpreta il personaggio con evidente pathos, spesso indugiando sulla stretta lunghezza d’una gonna grigio scuro (costumi, in stile primo Novecento, di Veera Roman) che diviene quasi oggetto di scena nel suo incedere. A cercare, senza successo, di sedare gli spiri tacci della padrona, Bea Boscardi, una Fana attempata e matronesca, esperta del mondo e dei suoi costumi, assai comica nell’impotenza buffa cui assiste alla vicenda, sottolineata dal continuo giocherellare con le nappe d’un nero scialle che la fascia del tutto.

Il salotto di casa Fiorìca è teatro del dramma della gelosia della signora, cui non servono né punto né poco le raccomandazioni, le interlocuzioni e i consigli d’un fratello sperpero (un buon Giorgio Carminati, sfuggente nel porgere le battute ed efficace nei controscena), il delegato Spanò di Renato Campese e, soprattutto, dell’altra vittima delle circostanze, lo scrivano Ciampa interpretato da Flavio Bucci.
L’intenzione di Bucci e Ladogana, come anticipato, è quella d’una ripulitura del Berretto, una distillazione in senso pirandelliano, giacché la storia della pièce è alquanto complicata e sofferta: l’originale, in dialetto siciliano, ispirata a due racconti del 1912 (La verità e Certi obblighi) inseriti nella raccolta Novelle per un anno, fu al centro di una diatriba con Angelo Musco, attore comico e primo interprete scenico del testo, nel 1916. La questione tra il teatrante e il professore riguarda l’intonazione della messinscena, che l’uno avrebbe voluto comica, l’altro basata sull’approfondimento esistenziale. Di fatto, al debutto andrà una versione ridotta dell’originale, nel frattempo perduto, e le due successive riscritture di Pirandello si baseranno sul testo tagliato da Musco. A complicare la storia scenica dell’opera, l’importanza del già citato allestimento eduardiano, responsabile d’una rilettura “partenopea” della storia.
Bucci e Ladogana (cui s’aggiunga Ettore Catalano, collaboratore al testo) offrono quindi una versione completamente scevra dai napoletanismi e regionalismi che, a mo’ di incrostazioni, ne hanno costituito la veste principale di tante riproposizioni: si tratta d’un “ritorno alle origini”, alle reali intenzioni del suo autore, ma, data la petizione d’intenti, è inevitabile registrarne il fallimento.
Sicuramente complice dell’insuccesso, una serata infelice del pubblico: la platea minuscola (sessanta poltrone circa) dei Rassicurati conferisce a un colpo di tosse, la carta di una caramella e lo squillo indesiderato di un telefono cellulare un impatto devastante e sull’attenzione degli altri spettatori e sulla tranquillità dei professionisti in scena. S'aggiunga che tali eventi si sono presentati quasi di seguito alla prima scena e ciò si è visibilmente riverberato sulla “tranquillità” degli attori, messi non poco in difficoltà da tali avverse condizioni.
Al di là di tali infortuni accidentali, però, lo spettacolo s’è rivelato pesante, lento pur nell’esiguità della lunghezza, appesantito da alcune incertezze sia nella recitazione sia nelle scelte di fondo. Il “recupero” tentato s’infrange, infatti, contro l’indugiare eccessivo di Bucci in una dizione a tratti bofonchiata, quasi alla Gino Bramieri, in certe sporcature linguistiche, in certi inciampi (scientemente voluti). Ciampa è sì un perfetto filosofo ignorante, che finisce per trionfare tristemente sui “grilli” della signora, ma l’allestimento non riesce, nell’effetto finale, a emanciparsi da un senso di lungaggine e oppressiva lentezza che è la moneta corrente dei Pirandello non riusciti.Il resto della compagnia non riesce, peraltro, a riequilibrare l’effetto, dato che la recitazione è, in genere, abbastanza trascurata, basata sul mestiere e in apparenza priva d’una minima ricerca di novità, originalità rispetto al dettato del testo. Certi momenti comici funzionano, ma il risultato, rispetto al tentativo e alle potenzialità d’un testo come Il berretto, è veramente esiguo.

Il pubblico applaude, noi non troppo, pur riconoscendo alla compagnia le attenuanti di una situazione non agevole.

Visto a Montecarlo (Lu), Teatro dei Rassicurati, 8 gennaio 2009.

Spettacolo
Il berretto a sonagli
di Luigi Pirandello
regia: Nucci Ladogana
collaboratore al testo: Ettore Catalano
musiche: Rosario Mastroserio
scene: Nicola Delli Carri
costumi: Veera Roman
con Flavio Bucci, Diana De Toni, Gioietta Gentile, Giorgio Carminati, Renato Campese, Luigi Mezzanotte, Anna Casalino, Bea Boscardi
produzione: Diaghilev - Cantieri Teatrali del III Millennio

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