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venerdì 22 giugno 2007

Amori e morte di un Don Giovanni teatrante

(da loschermo.it)
SERAVEZZA - Don Giovanni della Bambola di Andrea Elodie Moretti ha inaugurato la terza edizione del Shakespeare Festival or what you will, presso il Palazzo Mediceo di Seravezza. Si replica tutte le sere alle 21 sino al 30 giugno (24 e 27 esclusi).

La terza edizione del Shakespeare Festival or what you will apre i battenti nella suggestiva cornice del palazzo mediceo di Seravezza. Giunta alla terza edizione, l'iniziativa patrocinata dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Seravezza in collaborazione con Accademia Policardia, Compagnia Teatro Sottratto e New Artist Drama vede al debutto lo spettacolo Don Giovanni della Bambola di Andrea Elodie Moretti, attore e regista già agli onori delle cronache teatrali e liriche per una decennale collaborazione col Festival Pucciniano e numerose iniziative che lo hanno portato a lavorare in Versilia.

Artista molto attivo e di buone letture, Moretti è autore di una partitura scenica composita costruita intorno alla figura di Don Giovanni: vi si alternano senza sosta lacerti di Byron, di Moliére e, ovviamente, del Bardo inglese, ma il pastiche è arricchito da ulteriori testi, noti e meno noti, che costituiscono il singolare bottino di scorrerie picaresche all'interno della cultura teatrale e letteraria occidentale.

Il Don Giovanni morettiano è un libertino tragico che nella dissipatezza orgiastica dei propri ménage coltiva una terribile e disincantata visione del mondo, visto alla stregua di un insensato agglomerato di esistenze. È il principio d'ogni teatro gorgonico, riecheggiante la risposta che il satiro Sileno sputa in faccia all'umano re Mida: non essere mai nati oppure morire al più presto. Questo il terribile segreto sapienziale che Dioniso, divinità del gioco, del vino e del teatro, cela ai mortali, liberati dal dolore solo attraverso l'estasi del sesso, dell'arte, dell'ebbrezza e della morte.

Giovanni Tenorio è quindi un teatrante, non differente dall’Amleto capocomico, icona irrinunciabile di chi alla vita non può che preferire la scena, giacché in essa tutto è urgente, necessario, decisivo. Parole che riecheggiano le teorie di Artaud, filtrate magari attraverso l’esempio scenico di Carmelo Bene: tutti elementi presenti a vario titolo nel lavoro di Moretti, vero pout-pourri di trovarobato teatrale e filosofico.

Gli spettatori vengono accolti all'esterno del Palazzo Mediceo: un prestante Vincenzo (Davide Moretti) li introduce in quella corte dei miracoli che ruota intorno al suo signore, Don Giovanni, colui che l'ha prima salvato e poi ribattezzato Stosticchiu, in siciliano questa fica. Il portone si apre sul cortile dell'edificio, divenuto spazio teatrale a tutto tondo, dal momento che gli attori entrano in scena sia dal loggiato sia dal portone d’ingresso. Il pubblico si colloca ai lati, ammaliato da una festa che presagisce l'arrivo del protagonista assoluto della storia: sulle parole di John Wilmot (protagonista del libro The Libertine di Stephen Jeffreys, interpretato da Johnny Depp nella pellicola firmata da Laurence Dunmore nel 2004), fa il suo ingresso Don Giovanni Tenorio, sprezzante, debosciato, fiero, re dei bordelli e dei teatri. Perseguitato dalla moglie (Federica Rosi) e dal padre (Stefano Cherubini) in virtù d’un dovere coniugale dalla passione sfiorita, Giovanni ha però perso la testa per l’arte scenica, unica risorsa in grado di rendergli la vita tollerabile. Protegge, presso il Regio di Agrigento amministrato dalla signora Dumas (Natalia Bianchini), la giovane attrice Eleonora Oscià (Giulia Benetti), con la promessa di aiutarla a divenire una grande interprete shakespeariana: occasione buona per allestire, col vecchio stratagemma del teatro nel teatro, il dialogo tra Riccardo III e Lady Anna, una delle più celebri pagine del Bardo.

Lo spettacolo si sposta al primo piano del palazzo ove gli spettatori sono condotti da uno zannesco Stosticchiu, a metà tra un carontesco imbonitore e un ammiccante Pulcinella. Al centro della stanza, su un ampio velo bianco, Don Giovanni s'intrattiene con la bella Greta delle Arance (Elena Vichi) in un'atmosfera che rimanda a La philosophie dans le boudoir, mirabile testo del Divin Marchese de Sade. La prostituta comunica a Giovanni che la sua favorita, Bambola, è morta di sifilide, cerca di consolare il signore, ma s’arrende di fronte agli struggimenti del libertino che pensa soltanto all'attrice conosciuta poco innanzi.

Dopo un serrato confronto tra il protagonista e la moglie, si torna “a teatro” (il cortile del palazzo mediceo) per assistere alla recita della pazzia di Ofelia, prova del fuoco per Eleonora Oscià e per il suo novello mecenate Giovanni che, alla fine della rappresentazione, avrà l'ultimo e fatale confronto col padre, cui rinfaccerà un'infanzia d'indifferenza e dolore.
Si chiude con la morte dell'eroe, tragico epilogo che riprende nuovamente le parole del libertino di Jeffreys. Giovanni si rivolge al pubblico, prima affrontato con sprezzo e superbia, chiedendo malinconicamente: «e ora, vi piaccio?»

Difficile esprimere un giudizio univoco sullo spettacolo: convince la costruzione scenica, per quanto non brilli d’originalità, giacché avvicinare storie decadenti all'immaginario pop e glam è operazione già ampiamente sperimentata nel teatro novecentesco, vale a dire del secolo scorso. Interessante è comunque la costruzione del personaggio di Don Giovanni, sospeso tra mitologia romantica e dimensione rock (da notare le lenti diversamente colorate indossate da Moretti, che rimandano, tra gli altri, al controverso Marylin Manson), in special modo nel rapporto, conflittuale e complice, col servo Stosticchiu, relazione simboleggiata dal continuo passaggio della livrea a coprir alternativamente il torace di uno e dell’altro.
I problemi dell’allestimento emergono se però se ne confrontano gli obiettivi poetici (altissimi) e la loro concretizzazione scenica. Non si vuol parlare dell'imperfetta recitazione degli attori che affiancano il protagonista: sono per lo più giovanissimi, nel pieno degli studi e dunque meritevoli d'incoraggiamento, sperando magari di poterli rivedere in futuro più bravi e precisi.

Il difetto di questo Don Giovanni della Bambola sta, a nostro avviso, in una mancanza di verità (in senso teatrale) che dovrebbe condurre un allestimento di questo tipo allo scandalo e non allo scroscio d'applausi di un tranquillo pubblico estivo: sarebbe preferibile veder gli spettatori indignarsi di fronte a uno spettacolo fatto male, ma coraggioso e osceno, piuttosto che ricondurre Giovanni e la sua corte a un'atmosfera di borghese accettabilità.

Don Giovanni muore per il teatro e spregia la vita: esempio altissimo di scelta definitiva, che male s'adatta a essere imbrigliata in una messa in scena che, svanita l'eco dell'ultimo battimani, lascia pubblico e attori uguali a sé stessi.

Il teatro, lo diceva Artaud, dev'essere peste necessaria, urgente, malattia che, una volta sopraggiunta, niente lascia d'intatto. L'augurio è che Don Giovanni sappia col tempo ammorbare i suoi giovani attori, rendendoli bugiardi, sboccati, osceni e perciò veri: solo dopo sarà possibile diffondere il germe convincendo veramente (o scandalizzando, che è un'alta forma di convinzione) pubblico e critica.

Visto a Seravezza, Palazzo Mediceo, il 21 giugno 2007.

Spettacolo
Don Giovanni della Bambola
da Molière, Shakespeare e Byron
di e con Andrea Elodie Moretti
con Davide Moretti, Giulia Benetti, Natalia Bianchini, Federica Rosi, Stefano Cherubini, Elena Vichi e altri

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