
Possibile portare la scienza a teatro? Domanda forse oziosa, aperta a differenti soluzioni. Di certo è sempre arduo piegare una disciplina espressiva in sensi che non le sono propri, pure didattici: che la scena e l’arte in genere possano assolvere a compiti d’insegnamento è infatti dubbio, benché non manchino esempi di senso opposto.
Copenhagen, testo del britannico Michael Frayn (autore contemporaneo, suoi anche Rumori fuori scena e Miele selvatico), regia di Mario Avogadro con un tris d’interpreti navigati quali Giuliana Lojodice, Umberto Orsini e Massimo Popolizio, sembra raccogliere coraggiosamente la sfida: da dieci anni infatti (il debutto è del 1999) porta in scena la fisica o, meglio, una vicenda strettamente connessa con la scienza e la storia del Novecento.
In uno spazio metafisico, caratterizzato da uno sgombro piano inclinato ai cui lati vi sono dei gradoni in legno e una serie di lavagne recanti formule scientifiche, tre personaggi s’incontrano, intrappolati nella visione realizzata da Giacomo Andrico.


Lo spazio, ora più che mai, è gabbia, bolla di vetro d’un laboratorio: i personaggi si fronteggiano, si scontrano, nel tentativo di ricostruire quel giorno ormai lontano, senza mai riuscire a definire compiutamente quanto accadde. Popolizio è molto efficace, la recitazione naturale, basata su un’ottima centratura vocale: il suo Heisenberg è sospeso tra il bisogno di perdono (dopotutto, nel ’41, stava dalla parte sbagliata, nonché avversa all’amato maestro) e la rivendicazione di un’inevitabilità rappresentata dalla Storia. Giuliana Lojodice è invece figura materna che non concede sconti, tutt’altro: sempre pronta a correggere i due uomini nel tentativo di ristabilire una “verità” (la sua), è a tratti spietata nei confronti del figliol prodigo, fedele com'è alle sorti del marito. Orsini è, a sua volta, padre e scienziato appassionato: la recitazione è rapida, forse troppo, tagliente come un rasoio, il timbro ancora ricco di armonici.


Fisica e teatro finiscono quindi su due parallele sino al termine dello spettacolo, alla stregua di due elementi che, invece di fondersi armonicamente nel dare vita ad altro, restano coagulate e separate l’una dall’altra, in un insieme buono per un allestimento destinato alle scuole, meno interessante nell’ottica del teatro tout court.
Spettacolo lento, troppo, benché l’interpretazione degli attori abbia comunque il merito di salvare il salvabile. Resta purtroppo la netta impressione che si potesse fare meglio.
Visto a Pistoia, teatro Manzoni, il 6 marzo 2009.
Spettacolo
Copenhagen
di Michael Frayn
(traduzione di Filippo Ottoni e Maria Teresa Petruzzi)
regia: Mario Avogadro
con: Umberto Orsini, Giuliana Lojodice, Massimo Popolizio
scene: Giacomo Andrico
costumi: Gabriele Mayer
luci: Giancarlo Salvatori
musiche: Andrea Liberovici
produzione: CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia / Ert Emilia-Romagna Teatro
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